SARA NICOLI
Lo spettro delle elezioni si aggira in Parlamento e il primo ad agitarlo anche ieri sera, poco prima di entrare in una cena di imprenditori a villa Gernetto, è stato proprio Berlusconi: “Se mi costringeranno, chiamerò il popolo alle urne, e sarà di nuovo vittoria”. Parole che, in qualche maniera, aveva anticipato Fabrizio Cicchitto parlando alla Camera in piena caccia alle intercettazioni sul caso Ruby: “Più che un blitz giudiziario, contro Berlusconi si sta realizzando un blitz militare e valuteremo nelle prossime ore se il governo va avanti o se andiamo alle elezioni; Bossi sarà con noi nell’uno o nell’altro caso, c’è un rapporto politico molto forte”. Il Senatur, dunque, sarà determinante nella scelta politica finale di un Cavaliere ormai debolissimo e a cui tutti chiedono le dimissioni. A partire dal Quirinale. Giorgio Napolitano avrebbe avuto modo, nel weekend, di visionare le carte dell’inchiesta. E subito dopo una lettura tutt’altro che fugace dei passaggi più forti, la sua preoccupazione si sarebbe trasformata in vera e propria ansia, immediatamente comunicata a Gianni Letta sotto forma di invito – al Cavaliere – di riflettere sull’eventualità di fare un passo indietro. Al capo dello Stato premerebbe soprattutto la tutela dell’immagine dell’Italia all’estero e conseguenti, possibili, imbarazzi durante i vertici internazionali.
Sembra che Gianni Letta abbia recapitato il messaggio ottenendo un secco no con tanto di spiegazione a margine: “Un minuto dopo che esco da Palazzo Chigi, si svegliano tutte le Procure politicizzate d’Italia”. Il Cavaliere, dunque, pensa di resistere fino a quando Bossi – ieri silente, e non certo a caso – lo sosterrà. Una fase temporale con una scadenza imminente (il 28 gennaio sul federalismo fiscale) ma anche una più a lunga gittata, altri sei mesi prima che scada la delega al governo sempre sul federalismo. Insomma, per
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