Litigi e annunci di dimissioni poi
di Wanda Marra
Quando Beppe Fioroni esce dalla porta del Nazareno e si staglia plasticamente con tutta la sua stazza, sostenendo che “sbagliare è umano, perseverare è diabolico”, e dunque “non si può continuare a fare finta che tutto va bene”, per un momento il clima della direzione del Pd si incattivisce e lo strappo annunciato sembra consumarsi.
L’area veltroniana si avvia verso il no alla relazione del segretario Pier Luigi Bersani, mentre Paolo Gentiloni e lo stesso Fioroni rimettono gli incarichi di partito. A far degenerare il clima l’intervento del franceschiniano Bressa, che nel suo intervento, a nome di Area democratica, solleva dubbi sul fatto che chi non condivide la linea del segretario possa continuare ad avere incarichi nel Pd. Ma alla fine, invece del muro contro muro e della conta voluta da Bersani, con la richiesta del voto sulla sua relazione, si arriva a un non voto: il segretario ottiene 127 sì, 2 no (di due esponenti calabresi) e 2 astenuti (Arturo Parisi e Sandra Zampa) . “Sono molto contento e soddisfatto, perché alla fine, con grande nettezza, è venuto fuori un partito che si prende le responsabilità, che propone un progetto al Paese con l’ambizione di mettersi alla testa di una riscossa del Paese”, spiega Bersani in conferenza stampa, con un’espressione provata e scarica che smentisce le parole.
IN MEZZO quella che si è consumata è l’ennesima guerra di posizionamento all’interno di un partito che sceglie il giorno della sentenza della Consulta sul legittimo impedimento per mettere ancora una volta in scena e in piazza le proprie divisioni. La giornata era iniziata con il segretario impegnato a ribadire la sua linea: il né con
Spiazzati dalla perseveranza del segretario nel chiedere il voto - come dicono le facce perplesse di Verini e Tonini - a questo punto i Modem strappano. Veltroni però non parla e in assoluto l’area si espone poco, in termini di proposte.
Si aspetta quello che nella “vulgata” è già diventato il Lingotto 2: l’incontro convocato da Veltroni a Torino il 22. L’occasione per rimettersi in gioco anche elettoralmente: che per i Modem la scissione sia più che un’ipotesi remota lo dice il fatto che Gentiloni ha commissionato un sondaggio a Pagnoncelli per capire la propria forza elettorale. Le esitazioni sono spiegate anche dai risultati: la componente avrebbe potenzialità elettorali altissime, ma buona parte del popolo del Pd non reagirebbe bene a una ennesima divisione. Nel dubbio, allora, meglio cercare di conquistare posti in lista (visto che a deciderli con questa legge elettorale sono le segreterie dei partiti) in vista di eventuali elezioni.
Con il consueto sprezzo, D’Alema blocca entusiasmi e fughe in avanti: “Non si vota, il tema alleanze non è stato stressato perché non è all’ordine del giorno”. Mentre in generale fuori dalla sede del Pd, il clima oscilla tra teso e plumbeo, si nota qualche comparsata. Matteo Renzi passa un attimo e poi va a Palazzo Chigi “a prendere i soldi per Firenze”, come informa il collega (o ex collega) rottamatore, Pippo Civati, annunciando: “Voterei no, ma sto partendo”. Poi spiega: “Parlare di riformare le primarie vuol dire abolirle. Avrebbero fatto meglio a dire che Vendola detto Nichi non può partecipare e così esorcizzare la loro paura”. E Sergio Chiamparino, pure, spara a zero (avrebbe voluto una linea meno schiacchiata sulla Cgil) e se ne va.
DENTRO, la miccia la accende Bressa. Evidentemente anche i franceschiniani hanno tutto l’interesse a far passare il messaggio che senza di loro la maggioranza non va da nessuna parte. E che dunque i posti in lista li rivendicano a maggior diritto. Dopo l’exploit: “Dai Modem solo risentimento, ma nessuna linea politica alternativa”, Gentiloni e Fioroni rimettono il mandato. Ma lo strappo dura solo un paio d’ore. Il segretario respinge le dimissioni. Soprattutto, nella relazione finale, aggiusta il tiro. Almeno a sentire l’interpretazione di Marco Minniti (che parla da ventriloquo di Veltroni): “Bersani ha fatto passi in avanti su tre questioni importanti come il lavoro, la centralità del Pd in fatto di alleanze e gli incarichi interni occupati dalle minoranze”. Alla fine i Modem non partecipano al voto (evidentemente non solo loro, visto che sono circa 40).
A cantare vittoria sono un po’ tutti. Difficile capire perché.
1 commento:
CHE MANICA DI CIALTRONI.
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