"Ci ha spiegato che se i conflitti tra poteri non cessano e la paralisi del Paese non viene superata, il rischio è che si vada subito a votare". Il Consiglio dei ministri è appena terminato. Silvio Berlusconi ha concluso da poco il suo appello ad "andare avanti". Ma a tenere banco tra i ministri è altro. È il monito che il presidente della Repubblica ha riservatamente fatto pervenire a molti membri del governo e dell'opposizione. Il pericolo, descritto con crudezza, che il Paese sta inesorabilmente slittando verso le elezioni anticipate.
Giorgio Napolitano, infatti, tra giovedì e venerdì ha avuto occasione di manifestare la sua preoccupazione a molti esponenti dell'esecutivo, ai leader del centrosinistra e a quelli del Terzo polo. Ne ha parlato durante le celebrazioni della Giornata della memoria e ieri mattina a margine delle cerimonie per l'inaugurazione dell'anno giudiziario. Molti i ministri che hanno ascoltato le parole del capo dello Stato. E soprattutto un sottosegretario, Gianni Letta. Che ha immediatamente trasmesso il messaggio al presidente del consiglio. I resoconti dei suoi interlocutori sono unanimi: "A tutti ha detto che in presenza di una permanente conflittualità tra Istituzioni e poteri dello Stato, tra forze politiche e organismi parlamentari, il ricorso alle urne diventa inevitabile. Perché si tratta di uno scontro che non risparmia niente e nessuno". Più che una minaccia, quello del Quirinale è un avvertimento.
L'elenco delle frizioni che stanno immobilizzando l'intero apparato statale, del resto, è piuttosto lungo. Il dibattito al Senato, avallato da Renato Schifani, sulla casa di Montecarlo. La lite tra la seconda carica dello Stato e Fini. L'intervento del ministro degli Esteri Frattini per rispondere all'interrogazione del senatore pdl Compagna. La richiesta di dimissioni avanzata dal presidente del consiglio nei confronti di Fini presidente della Camera. Il boicottaggio dei lavori di un delicato organismo parlamentare, il Comitato di controllo sui servizi segreti, causato dalla maggioranza. Gli attacchi furibondi di Berlusconi contro un altro potere dello Stato:
"Così - raccontano alcuni autorevoli ministri che hanno potuto ascoltare le riflessioni del presidente della Repubblica - a suo giudizio non si può andare avanti. E anche se ci ha ricordato di essere un fautore della stabilità di governo, in questo modo la spinta verso lo scioglimento delle Camere diventa insopportabile. Il Paese non può più sopportare lo scontro di tutti contro tutti". Ieri, racconta chi ha presenziato all'inaugurazione dell'anno giudiziario, Napolitano ha ascoltato con soddisfazione la relazione del ministro Alfano che si è limitato a difendere il lavoro del governo senza aprire le ostilità con i magistrati. Sul Colle, insomma, sperano che la fisiologica dialettica riconquisti terreno. Al contrario, dinanzi ad una persistente e totale paralisi della macchina amministrativa, diventa inevitabile riportare gli elettori alle elezioni.
Non a caso, gli stessi autorevoli esponenti dell'esecutivo, adesso rileggono in controluce l'articolo 88 della Costituzione che assegna un potere chiaro alla più alta carica istituzionale: "Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse". Non aggiunge altro e non pone condizioni. Riflessioni che nelle ultime ore hanno raggiunto e impressionato Palazzo Chigi. E sebbene Napolitano nei suoi ragionamenti non abbia aperto la discussione sui limiti delle sue prerogative, gli uomini del Cavaliere hanno iniziato a pensare che per arrivare allo scioglimento del Parlamento potrebbe non esserci bisogno di una formale crisi di governo.
In una certa misura l'effetto del suo monito ha aperto una breccia nel centrodestra. Per la prima volta ieri Berlusconi ha evitato nel suo ormai tradizionale video-messaggio di reclamare le dimissioni del presidente della Camera. Il Guardasigilli, appunto, non ha attaccato i giudici. Il Pdl - su input del Cavaliere - sta cancellando la manifestazione del 13 febbraio. Umberto Bossi ha tirato il freno a mano nella battaglia con il Terzo polo e con Fini. Ma nessuno, nemmeno sul Colle, è convinto che la tensione possa considerarsi archiviata e che i conflitti istituzionali siano pacificati. Tant'è che proprio dal Pd e dall'asse Udc-Fli è arrivata una improvvisa apertura al voto anticipato. In tutti i calcoli, peraltro, sta entrando un altro argomento: l'ingorgo istituzionale che si realizzerebbe nel 2013 se si completasse la legislatura. La scadenza delle Camere coinciderebbe con quella del settennato presidenziale.
Il piano inclinato che porta alle urne, dunque, non è stato ancora corretto. Lo ammette apertamente proprio il leader della Lega che ieri pomeriggio - sul volo che ha riportato un bel po' di ministri a Milano - ha assegnato un orizzonte limitato alla legislatura. "Fino a quando abbiamo la possibilità di approvare il federalismo si va avanti, altrimenti si vota". E, comunque, anche se ci fosse il via libera, il ciclo della maggioranza sarebbe esaurito. "Silvio è nervoso perché gliel'ho detto". Per suffragare la sua tesi Bossi ha chiesto al premier: "Perché non hai approvato la legge sulle intercettazioni? Non saresti rimasto incastrato in questo casino di Ruby?". "Non me l'hanno fatto fare". "E allora perché dovresti riuscirci adesso con questi numeri?". Ma per il momento il Cavaliere resiste: "Si va avanti, almeno fino al 2012". Ma ormai è solo lui a sperarlo.
(29 gennaio 2011)
1 commento:
Di particolare interesse il dialogo fra Umberto e Silvio circa le intercettazioni: un fulgido esempio di senso delle istituzioni!
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