mercoledì 16 febbraio 2011

Il rito breve diventerà molto lungo


CARLO FEDERICO GROSSO

Come era prevedibile, il gip di Milano ha accolto la richiesta di giudizio immediato nei confronti di Berlusconi. Evidentemente ha ritenuto che sussistessero entrambi i requisiti ai quali la legge subordina tale specialissimo rito processuale (l’evidenza della prova e l’avvenuto interrogatorio dell’indagato o la sua mancata comparizione davanti al pubblico ministero).

Non è questo il momento di discutere se questo rito sia stato assunto a ragione o a torto, anche se le notizie sul contenuto dell’inchiesta pubblicate sui giornali consentono, ampiamente, di capire le ragioni in forza delle quali la richiesta di giudizio immediato ha potuto essere formulata e, quindi, essere accolta dal giudice. Piuttosto, può essere interessante capire che cosa potrà accadere d’ora in avanti sul terreno del processo.

Iniziamo dalla polemica innescata ieri da esponenti del mondo politico sull’irritualità dell’attività giudiziaria compiuta dalla magistratura, in quanto essa contrasterebbe con le valutazioni del Parlamento. Poiché la Camera, giudicando su di una richiesta di autorizzazione ad eseguire una perquisizione, ha affermato che la concussione sarebbe stata compiuta da Berlusconi nell’esercizio delle sue funzioni, ed avrebbe pertanto dovuto essere giudicata dal Tribunale dei ministri, il differente avviso manifestato dall’autorità giudiziaria costituirebbe un attentato alla sovranità popolare.

Questa affermazione, giuridicamente, è una sciocchezza, poiché la magistratura nell’interpretare le leggi è totalmente indipendente e le sue decisioni non sono, pertanto, condizionate dal giudizio espresso da una maggioranza parlamentare. Tali accuse lasciano comunque supporre che di qui a poco il governo, la maggioranza parlamentare, o i difensori di Berlusconi, solleveranno conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato davanti alla Corte Costituzionale, cercando di sottrarre comunque il premier alla giurisdizione della magistratura ordinaria, se non addirittura alla giustizia (per potere procedere nei confronti dei reati ministeriali è necessario, infatti, che il Parlamento conceda la sua autorizzazione. E quando mai questo Parlamento la concederebbe?).

Diciamo subito che il conflitto di attribuzione non obbliga a sospendere il processo (tutt’al più, se la Corte dovesse dare torto alla magistratura, gli atti giudiziari compiuti risulterebbero nulli). Ciò significa che il 6 aprile il processo penale a Berlusconi per concussione e prostituzione minorile potrà essere iniziato (a meno che egli non chieda, incredibilmente, il giudizio abbreviato o il patteggiamento). E’ difficile, tuttavia, pensare che esso possa comunque proseguire spedito.

La difesa potrà infatti utilizzare un vasto arsenale di operazioni dilatorie: innanzitutto fare leva sul legittimo impedimento dell’imputato. Questo «rimedio» non è più così agevole com’era fino a ieri, in quanto la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la legge che riconosceva a Palazzo Chigi il potere di certificare in modo vincolante la condizione di soggetto impedito del primo ministro. Berlusconi pertanto, come ogni altro cittadino, se vorrà rinviare il processo dovrà di volta in volta addurre uno specifico, documentato, impegno istituzionale, la cui consistenza potrà essere valutata dal giudice. Non è peraltro difficile immaginare quali e quante tensioni e polemiche potrà suscitare, ad ogni udienza, l’eventuale decisione del premier di ostacolare la prosecuzione del suo processo. E soprattutto, quanto effettivo ritardo essa potrà concretamente causare all’ordinato svolgimento della giustizia nei suoi confronti.

In via preliminare, i difensori di Berlusconi potranno d’altronde dispiegare un complesso articolato di eccezioni. Innanzitutto potranno eccepire l’incompetenza del tribunale ordinario, affermando che la concussione, in quanto reato ministeriale, deve essere giudicata dal Tribunale dei ministri, ed affermare che la prostituzione minorile, a questo punto necessariamente separata dalla concussione, deve essere a sua volta assegnata al suo giudice naturale, cioè il Tribunale di Monza (in quanto Arcore, luogo nel quale sarebbero state commesse le condotte costitutive di tale delitto, si trova in quel circondario). In secondo luogo potranno sostenere l’illegittimità della richiesta di giudizio immediato, eccependo che di tale rito difettava taluno dei presupposti, magari, addirittura, l’evidenza delle prove. In terzo luogo potranno cercare, fra le pieghe della burocrazia giudiziaria (eventuali avvisi difettosi, termini non rispettati, altre incombenze processuali trascurate), la strada per ottenere in qualche modo annullamenti, ripetizioni di atti, comunque ritardi.

Un percorso difficile, dunque, dalle possibili conseguenze imprevedibili. Sicuramente un processo lungo, carico di tensioni, che decollerà con difficoltà e non si sa come e quando potrà arrivare a sentenza, ad onta del rito «breve» specificamente adottato.

Un ingorgo per altro verso pericoloso per la tranquillità della vita istituzionale del Paese, foriero di ulteriori strappi e distorsioni nel mondo della politica e della giustizia. Mi ha ad esempio colpito, ieri, la precipitazione con la quale una importante conferenza stampa congiunta del presidente del Consiglio e del ministro Maroni è stata annullata non appena la notizia relativa al processo immediato ha cominciato a circolare. Un imbarazzo, dato che le asserite vittime della concussione del premier sono dipendenti del ministero dell’Interno? E quanti altri imbarazzi si porranno, di qui al 6 aprile, e dal 6 aprile in avanti?

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