di GIORGIO BOCCA
Che cosa è stato per l'Italia il periodo che va sotto il nome di berlusconismo? Certamente un periodo di perdita della pubblica educazione, della correttezza dei rapporti civili. Di una delle sue allieve predilette, la signora Minetti, Berlusconi ha detto: "Una donna intelligente, laureata, che è diventata per suoi meriti consigliere regionale".
Ma nelle intercettazioni di questa signora viene fuori un altro personaggio, una donna di una volgarità è di un'avidità notevoli, che di Berlusconi dice: "Quel vecchio dal sedere floscio che ci faceva eleggere a cariche pubbliche per farci pagare dai contribuenti". Nessuna vivandiera di lanzichenecchi sarebbe stata più feroce.
Il berlusconismo è anche una riduzione della lotta politica a livello infimo, in questa politica il ministro degli Esteri della Repubblica italiana, invece di occuparsi delle bufere sociali in corso in Egitto o in Tunisia, legge alla Camera una comunicazione di un ministro di Santa Lucia, repubblica delle banane caraibica, la rivelazione storica che Gianfranco Fini, co-fondatore del partito di governo, ha un cognato di nome Tulliani che è proprietario di una casa Montecarlo. In altre parole il ministro degli Esteri di una grande nazione europea si presta a diffamare il presidente della Camera diventato nemico politico del sultano.
Il berlusconismo è un periodo nero della storia politica e civile italiana anche per altri aspetti, a cominciare dai rapporti fra il presidente del Consiglio e l'informazione, fra il signore di Arcore e la libertà di stampa. Criticato da giornalisti e da politologi il premier si comporta come un sultano vendicativo e minaccioso, viola tutte le regole della pubblica informazione, irrompe nelle trasmissioni televisive e radiofoniche per insultare i suoi critici usando parole da trivio come "la sua trasmissione è un postribolo" e "infami menzogne". Offrendosi alla giusta reazione degli accusati di cui dice: "di lei mi vergogno", "la sua trasmissione è infame". Un'impressionante riedizione del Nerone di Petrolini, del despota feroce e ridicolo che abusa del suo potere e si fa applaudire dalle sue vittime.
Con il Cavaliere di Arcore ecco il danno maggiore: la giovane e fragile democrazia italiana si riduce a un pettegolezzo volgare, a un gossip che tutto occupa e soffoca, che rischia di mascherare tutti i problemi del governo, tutti i doveri di educazione e di stile, il paese intero, sotto una nube ronzante di menzogne e abuso di potere. Perché comunque si consideri l'uomo di Arcore, egli è la gente che frequenta, che ama, che protegge, che innalza o abbassa a suo piacere, questa corte maleducata e supponente che grazie a lui vive di bassi servizi. Tutti, anche i migliori, che ritengono normale avere dalla res publica non solo un lauto stipendio ma anche le amanti.
Il berlusconismo come un tempo di corruzione e di servitù, esentato dalla ferocia solo dal controllo internazionale e dall'indole del sultano che vuole non solo l'obbedienza ma anche la gratitudine del popolo. E il disagio, la stanchezza di vivere in un paese senza morale, senza regole del gioco rispettate da tutti, senza disciplina, ci fa rimpiangere quelle società che ti mettono alla prova di educazione e di ragione, non quelle dove tutto è permesso a patto che tutto decada verso il peggio. Purtroppo per molti italiani il laisser faire è preferibile ai doveri.
(12 febbraio 2011)
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