UGO MAGRI
Per uno strano scherzo del destino Gabrielli, l’erede di Bertolaso a capo della Protezione civile, era sul posto ieri mattina quando Berlusconi è stato colpito a Catania dall’ultima calamità politica, processo immediato per Ruby e per concussione. Ma pure Maroni stava lì e, volendo, potrebbe raccontare la reazione del premier: letteralmente impassibile. Il Cavaliere non ha battuto ciglio. Giusto la mascella gli s’è irrigidita un po’, ma niente di più. La notizia che fa il giro del mondo lui, evidentemente, in cuor suo la dava già per scontata; anzi si sarebbe stupito se quelle «toghe rosse» l’avessero tolto dai guai...
Tutt’al più Berlusconi immaginava che la botta da Milano sarebbe arrivata qualche ora dopo, «nel pomeriggio» gli avevano assicurato, o addirittura stamane, anziché pochi minuti prima della conferenza stampa convocata sull’emergenza profughi. Che fare, tenerla ugualmente per sentirsi chiedere dai cronisti che cosa ne pensa dei magistrati e della probabile condanna, o invece eludere le domande dando forfait? Risposta facile facile: Berlusconi, d’istinto, avrebbe gradito presentarsi davanti alle telecamere. Per ripetere quanto tutti già sappiamo: che è solo una manovra politica tesa a farlo fuori. Che le sue feste sono state sempre parecchio chic. Eccetera eccetera. Però da Roma le «vecchie zie», Letta e Bonaiuti, si sono subito precipitate a frenarlo. «Silvio non lo fare» gli hanno detto con tono d’implorazione, poiché lo sfogo pubblico sarebbe stato due volte da matita blu. Avrebbe inasprito i rapporti (già pessimi) col Capo dello Stato, il quale ha raggiunto il limite di sopportazione ed è pronto a sciogliere le Camere se giudici e politici continueranno la zuffa. Ma soprattutto, una conferenza stampa sguaiata sulla giustizia avrebbe avuto l’effetto-boomerang di «oscurare» la spedizione a Catania, studiata apposta da Berlusconi per mostrare all’Italia un governo operoso che prova ad arginare gli sbarchi dei clandestini.
Insomma: alla fine Berlusconi ha rinunciato. Quanto a malincuore, nessuno può dirlo. Nè dalla sua bocca sono usciti commenti una volta sbarcato a Roma. Ore e ore chiuso a Palazzo Grazioli con l’avvocato Ghedini. Hanno studiato insieme le mosse ma senza decidere nulla, perché ancora non è ben chiaro come mandare avanti il ricorso (conflitto di attribuzione, nel linguaggio giuridico) davanti alla Corte costituzionale, onde statuire che Milano è incompetente, toccherebbe invece al Tribunale dei ministri... Ma soprattutto, confida un’autorevole personaggio, Berlusconi e il suo legale hanno passato ai «raggi x» le tre donne del collegio giudicante: chi sono queste signore? Berlusconi che cosa deve aspettarsi da loro? Niente di buono, pare sia stata la triste conclusione. Non perché risulti un orientamento politico ostile. Nessuna delle tre domenica è scesa in piazza contro il Cavaliere sventolando bandiere. Però è bastato informarsi sulle loro sentenze (parla chiaro il curriculum) per capire che si tratta di tre magistrate «toste», implacabili. Il che non promette davvero nulla di buono.
Qualche chiacchiera è circolata a Montecitorio su una presunta tentazione del premier: dimettersi, per cedere il testimone a Letta e in prospettiva ad Alfano. Ma di chiacchiere si tratta, appunto: Silvio non molla. Lo condannano? Lui tira dritto. E se la tegola giudiziaria lo colpirà prima del G8 in Francia (fine maggio), proverà a giustificarsi coi Grandi come sempre ha fatto finora, qualche barzelletta e via... Diverso il caso se gli mancasse la maggioranza. Se
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