sabato 12 febbraio 2011

Strada Giusta, Passo Breve


Quando un esecutivo regolarmente in carica elabora una ricetta per far ripartire la crescita va preso sul serio. Tanto più in un Paese-tartaruga quale purtroppo è diventata l'Italia e non per colpa di un solo schieramento politico. Del resto le opposizioni e le forze sociali hanno chiesto ad alta voce da mesi che il governo tornasse a governare e si occupasse dei problemi che angustiano gli operatori economici, le famiglie, i giovani. Ora, almeno a parole, palazzo Chigi ha dato ampie assicurazioni di volerlo fare e non ha senso dunque gridare «al diversivo». Conviene a tutti ragionare nel merito e procedere senza sconti.

E allora la prima considerazione è che la scossa - termine ciclicamente ricorrente nella politica italiana - non sembra sostenuta da un robusto lavoro di ricognizione, prima, ed elaborazione, poi, sui reali nodi della crescita lenta. Manca qualcosa che assomigli a una visione compiuta dello sviluppo italiano, un racconto persuasivo delle cose che si andranno a fare e degli obiettivi che si intendono raggiungere a breve e a medio termine. Per farla breve non pretendiamo che Silvio Berlusconi scimmiotti all'improvviso il suo omologo inglese David Cameron, che organizzi dotte conferenze per sciorinarci ricette sulla Big Society o scomode analisi della società multiculturale, ma a qualcosa di più di un mero elenco di misure abbiamo diritto. Vorremmo, per esempio, sapere che intenzioni ha maturato l'esecutivo sulla riforma fiscale e che timing prefigura per la sua partenza. Proprio su queste pagine domenica 6 febbraio Mario Monti ha mostrato come si possa tentare di costruire per via pragmatica un'agenda dello sviluppo che abbia un preciso asse di politica economica, che punti a liberalizzare i settori compressi dalle chiusure di stampo corporativo e che non tema di pronunciare la parola «riforme».

Del resto chiunque abbia avuto modo di vedere le immagini della conferenza stampa post Consiglio dei ministri ha potuto constatare con una certa meraviglia come il ministro dell'Economia non abbia voluto intestarsi più di tanto il pacchetto di provvedimenti appena varato. Quel ripetuto richiamo di Giulio Tremonti all'Europa come vera sede delle-decisioni-che-contano è parso una sottile presa di distanza dal lavoro fatto dai colleghi. E se così fosse, francamente sarebbe difficile dargli torto perché la gran parte dei dossier approvati ieri pare essere stato assemblato con il metodo del ripescaggio. In sostanza più di un ministro ha tirato fuori dai propri cassetti provvedimenti che per un motivo o per l'altro erano rimasti fermi e li ha (lodevolmente) riproposti. Il piano casa, la banda larga, la semplificazione delle procedure amministrative. Non è mancato nemmeno il rituale riferimento al completamento della moderna tela di Penelope, la Salerno-Reggio Calabria! Meglio così, si dirà, che lasciare quei dossier a prendere polvere nei ministeri ma un confronto più serrato con le rappresentanze dell'impresa avrebbe sicuramente aiutato a definire le priorità e a scegliere con maggiore accuratezza gli strumenti operativi.

Colpisce, infatti, l'adesione tiepida che sia Confindustria sia Rete Imprese Italia hanno riservato agli annunci usciti dal Consiglio dei ministri di ieri. Entrambe le organizzazioni sanno benissimo che quel po' di ripresa che siamo stati capaci di intercettare è dovuta all'export. Le nostre multinazionali del lusso e le nostre medie imprese hanno messo a segno in questi mesi buone performance sia sui mercati emergenti sia su quelli tradizionali e in molti casi l'effetto traino si sta facendo sentire sulle filiere produttive e sui distretti.

Gli osservatori più attenti mettono però in guardia: in Cina e in India esportiamo a fiammate ma mancano i binari per vendere con continuità e conquistare stabili quote di mercato. Il governo, che queste cose sicuramente le sa, continua invece a pasticciare con la riforma dell'Ice (Istituto commercio estero) e quando si riunisce per discutere di crescita dimentica che in primis andrebbero supportate proprio le esportazioni. Tutto da rifare, dunque? No. In tempi di vacche magre le imprese per prime non possono permettersi atteggiamenti alla Bartali. Se, come sostiene palazzo Chigi, ieri si è appena cominciato a parlare di crescita e si andrà avanti in più fasi, la speranza è che non manchino modo, tempo e sedi per vagliare le critiche e rimediare alle lacune più evidenti. Anche la ragione, in Italia, deve imparare a navigare a vista.

P.S. Mi è capitato di chiedere a importanti esponenti della maggioranza perché preferiscono la via lunga della modifica costituzionale dell'art. 41 piuttosto che approvare in tempi (che sarebbero) strettissimi il disegno di legge sullo Statuto d'impresa presentato da Raffaello Vignali, deputato pdl nonché stretto collaboratore del ministro Paolo Romani. Le imprese ne sarebbero felici, perché se ne avvantaggerebbero oggi e non a babbo morto. Non ho avuto risposta e quindi riformulo la domanda.

Dario Di Vico
10 febbraio 2011

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Bella domanda quella finale, rimasta senza risposta. Chissà perché, forse perché sono dei pericolosi dilettanti, che sanno far bene solo i cazzi loro!