sabato 12 febbraio 2011

Una protesta che divide «Rischia il flop». «È la piazza dei diritti»



«È davvero la dignità delle donne la posta di questa orribile storia?», si chiede la filosofa Claudia Mancina. Dalla risposta dipendono molte cose. La partecipazione alla manifestazione di domani, per esempio: oltre 200 le città coinvolte, centinaia di migliaia le firme di adesione, donne soprattutto ma non solo, chiamate a raccolta dal comitato «Se non ora, quando?».

Mancina non ci sarà, in linea con una parte del femminismo storico — quella che si è espressa, da Luisa Muraro a Lea Melandri, a Lucetta Scaraffia— che ammette di non riconoscersi nell’appello a scendere in piazza e sposta il tiro dalla «difesa dell’offesa dignità delle donne» al rapporto fra morale e libertà. Carola Barbero, giovane filosofa di 35 anni, invece ci sarà, riconoscendo la stessa urgenza alla mobilitazione che Monica Luongo, sul sito donnealtri.it ha sintetizzato così: «Preoccupate di marcare le differenza fino all’esame del capello non vediamo più che fuori il mondo corre e non ci aspetta». La manifestazione ha diviso, ma ha anche costretto a un confronto serrato. Si è tornati a pronunciare la parola «femminismo»: «Femminismo è tante cose, ma soprattutto è la teoria e la pratica della libertà femminile — riprende Mancina —. Che non è, come oggi qualcuno dice disegnando una caricatura, una indiscriminata libertà sessuale, senza pensiero né limiti né consapevolezza. Al contrario, le donne hanno offerto il modello di una libertà che è responsabile verso gli altri. Hanno continuato e continuano —pur mentre lavorano e vivono liberamente — a occuparsi della casa e dei figli, dei genitori e degli amici. Hanno offerto agli uomini—e qualcuno (pochi) lo ha accolto — un nuovo modo, più consapevole, meno onnipotente, di essere individui liberi».

Una nuova ondata di femminismo?

Mancina: «Temo che la fiammata si consumi presto, come è avvenuto tante altre volte. Ma il femminismo è qualcosa che ritorna e scompare, scompare e ritorna. Oggi mi sembra dominante un atteggiamento più vicino all’emancipazionismo anni Settanta. Le donne che vogliono parlare e farsi ascoltare sono di una generazione che ha sfondato a scuola e sono abituate a competere vittoriosamente coi maschi. Fanno più fatica ad accettare le disuguaglianze che la società prepara loro una volta terminati gli studi. Sono soprattutto queste, credo, le donne che andranno in piazza. A loro va tutta la mia simpatia, ma vorrei che avessimo un progetto politico da opporre alla società ingiusta. Un progetto per le donne ma non solo: perché niente si risolve se non si sblocca la politica, restituendola al suo ruolo di guida»

Barbero: «Io mi sento femminista di terza generazione: i diritti delle donne sono il punto dal quale partire per costruire un’identità solida in costante confronto (anche produttivo) con quella maschile. Ecco perché domani abbandonerò il mio classico ménage — fatto di rivendicazioni, discussioni e confronti (talvolta anche ricatti, devo ammetterlo, ma quale ménage non ne ha?)— per andare in piazza e difendere quei diritti che costituiscono la mia identità e la mia dignità. Ne nascerà una nuova sorellanza».

Caso Ruby: se condanniamo cadiamo nel moralismo?

Mancina: «Vendere il proprio corpo in cambio di denaro o di una sistemazione sociale è moralmente sbagliato. Non è questa la libertà, né per le donne né per gli uomini. Però quelle donne di cui parliamo oggi, le donne delle notti di Arcore, non sono vittime; la loro non è una scelta obbligata. Certo, il quadro complessivo dà un’idea desolante della relazione tra i sessi e anche del modo in cui il corpo femminile è usato nella nostra società. Questa però non è una novità, e del resto ormai anche il corpo maschile è entrato nella stessa orbita».

Barbero: «Io invece m’indigno. Per quanto riguarda la libertà delle donne, poi, richiamarsi al famoso "ognuna faccia quello che vuole" è un boomerang: fino a che punto Ruby & C. hanno fatto quello che volevano? Chiedersi questo non vuol dire essere moralisti. Non bisogna perdere la capacità di indignarsi: occorre essere capaci di dire basta. Perché qui prima che di libertà è una questione di identità e di dignità».

Quella di domani sarà «la solita piazza antiberlusconiana», come ha scritto Eugenia Roccella sul «Giornale», o c’è dell’altro? Che peso ha in tutto questo la politica?

Mancina: «Sono convinta che le donne che hanno organizzato la manifestazione e quelle che aderiscono hanno tutt’altre intenzioni da quella di dare "la spallata" a un premier traballante. Tuttavia il rischio di una strumentalizzazione politica di corto respiro è nelle cose. È inevitabile che un’opposizione debole, già rivelatasi incapace di sconfiggere Berlusconi in sede parlamentare, e difficilmente in grado di vincerlo in eventuali elezioni, sia portata a cavalcare la protesta delle donne così come quella degli intellettuali e degli scrittori. Sarebbe un doppio flop. Per l’opposizione, perché gli attacchi a Berlusconi su questo terreno sinora non hanno avuto alcun esito, se non forse quello di rafforzarlo. E per le donne, che non hanno niente da guadagnare da un ruolo di vestali dell’antiberlusconismo».

Barbero: «C’è dell’altro, perché non si tratta solo di manifestare contro l’"utilizzatore finale". Sinceramente credevo che i tempi fossero cambiati e che le nuove femministe avessero, diciamo, trasferito i luoghi di protesta dalle piazze agli uffici, alle case e alle camere da letto. Pensavo cioè che le donne non dovessero più riunirsi in massa per rivendicare i propri diritti, ma che, essendo questi stati largamente riconosciuti, si potesse procedere a lotte di tipo più individuale e personalizzato, in un certo senso di un altro livello. Ma evidentemente mi sbagliavo. Bisognerà rimandare i litigi con mariti, figli e colleghi di lavoro (perché comunque c’è ancora molto da fare, non nascondiamolo) e scendere in piazza, con le altre donne».

Nonostante il fermento degli Anni 60/70, oggi le donne non controllano nulla: dalle condizioni della loro esistenza al modo in cui vengono rappresentate. Chi ha sbagliato?

Mancina: «È vero che le italiane contano molto poco rispetto alle donne dei paesi nostri simili. Credo che ci sia un rapporto tra questa situazione e la vischiosità della nostra politica. L’Italia è come imbozzolata dentro una raffigurazione arcaica che blocca le sue possibilità di sviluppo; e la sottoutilizzazione delle energie femminili ne è un tratto essenziale. Penso che di questo dovremmo discutere, e non delle notti di Arcore».

Barbero: «Ruby e le sue sorelle sono l’eccezione, non la regola. Dobbiamo essere noi donne le prime a non farci fregare dalle apparenze, a rispettarci a vicenda, e soprattutto a non farci inghiottire da quella logica maschilista che è all’origine di questo teatro dell’assurdo che è sulla scena del nostro Paese da qualche tempo. Qualcuno ha sbagliato, questo è certo. Ma forse questo, più che il momento di puntare il dito, è il momento di correre ai ripari facendosi sentire e rispettare ».

Daniela Monti
12 febbraio 2011

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