mercoledì 9 marzo 2011

Aridatece Gelli di Marco Travaglio


di Marco Travaglio

Chi si rivede, Marco Boato. L’ex lottatore continuo, intervistato dal Riformista, rivendica la primogenitura della controriforma della Giustizia minacciata dal duo Cainano & Al Fano.

Lui non ci trova “alcunché di scandaloso” e ricorda che, a parte lo sganciamento della Polizia giudiziaria dal pm (idea di Violante, subito copiata da Al Fano), è tutta copiata dalla sua bozza del 1998 per la Bicamerale D’Alema: separazione delle carriere e dei Csm, azione penale a discrezione di governo e Parlamento, procedimenti disciplinari ai magistrati tolti al Csm e affidati a un plotone d’esecuzione di nomina politica.

Ma Boato è un po’ ingeneroso con Licio Gelli, che nel suo “Piano di rinascita democratica” aveva precorso i tempi con trent’anni d’anticipo. Infatti il Venerabile, quando destra e sinistra votarono la bozza Boato, reclamò il copyright.

L’obiettivo della casta, anzi della cosca, è dunque a un passo dall’essere raggiunto: le indagini le farà direttamente il governo, che poi scriverà anche le sentenze. Non solo quelle penali, ma anche civili e contabili. Pare brutto lasciarle fare ai giudici.

L’altroieri per esempio ha raccolto critiche a destra ma anche a sinistra (si fa per dire: il solito Riformista) il verdetto del Tribunale del lavoro di Roma che ha confermato il reintegro di Tiziana Ferrario al Tg1: Minzolingua non l’aveva allontanata per “effettive esigenze organizzative” (come racconta lui), ma per “una volontà ritorsiva al fine di sanzionare il dissenso manifestato dalla giornalista nei confronti della linea editoriale del direttore”.

Il Riformatorio, che quando c’è da dire una scempiaggine è sempre in prima fila, scrive che “la sentenza priva della sua autorità la direzione del Tg1 e stabilisce chi e quando dovrà condurre il telegiornale”, dunque “non ci piace un tribunale che ordina a Minzolini chi deve mettersi dietro la scrivania o davanti alla telecamera”.

A questi giuristi per caso sfugge che nessun tribunale ha mai preteso di decidere i conduttori del Tg1: è che discriminare lavoratori e lavoratrici per le loro idee politiche è (ancora per poco) vietato dalla legge.

Concetto troppo elevato anche per Fabrizio Cicchitto (tessera P2 2232): “Ormai la Rai, come tante altre istituzioni e aziende italiane, è commissariata dalla magistratura che decide a suo arbitrio gli organigrammi interni”.

Raro concentrare così tante fesserie in così poche parole.

A parte il fatto che non si capisce quali sarebbero le aziende e le istituzioni “commissariate dalla magistratura”, Cicchitto ce l’ha pure con la Corte dei conti che ha condannato l’ex ministro Siniscalco, i cinque ex consiglieri Rai del centrodestra e l’ex capufficio legale Esposito a risarcire 11 milioni di danni all’azienda per la nomina a direttore generale del berlusconiano Alfredo Meocci nel 2005. Meocci era incompatibile perché era stato per sette anni, fino al giorno prima, commissario dell’Agcom (che vigila sulla Rai). E la legge sulle Authority (481/1995) vieta “per almeno 4 anni” a chi ne ha fatto parte di “intrattenere rapporti di collaborazione, consulenza o impiego con le imprese operanti nel settore di competenza”. Pesanti sanzioni sia per l’ex commissario che la viola (“tra i 50 e i 500 milioni di lire”), sia per l’azienda che lo assume (“pari allo 0,5% del fatturato, da 200 milioni a 200 miliardi di lire”), sia per gli amministratori che se ne rendono responsabili. Molti giornali, il collegio sindacale Rai e i consiglieri d’opposizione lo dissero. Ma Siniscalco e i consiglieri Urbani, Malgieri, Bianchi Clerici, Petroni e Staderini nominarono ugualmente Meocci, su ordine di B. Tanto, pensavano, siamo assicurati. Poi però l’assicurazione rifiutò di coprirli, visto che sapevano benissimo di violare la legge. Ora la Corte dei conti presenta il conto: “Colpa grave... comportamento sommamente lesivo di ogni regola di prudente e buon governo della cosa pubblica”.

Cicchitto però non gradisce che i giudici applichino la legge.

Facciamo così: d’ora in poi le sentenze le scrive Gelli. Al confronto, era una persona seria.

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