di Marco Travaglio
Finalmente, dopo 17 anni, B. ha fatto (o almeno annunciato che farà) una cosa normale: si presenterà in tribunale a difendersi nei (e non dai) suoi processi. E intanto ha stoppato la tragicomica iniziativa di uno dei suoi più fervidi cortigiani, Luigi Vitali: una leggina per accorciare vieppiù i termini di prescrizione dei reati se a commetterli è un incensurato ultrasessantacinquenne (l’amato Silvio va per i 75). Naturalmente il presidente del Consiglio non merita, per questo, alcun complimento: solo nel Paese di Sottosopra ci si meraviglia se qualcuno fa una cosa normale.
Vedi gli elogi tributati ad Andreotti perché non insultò i giudici che lo processavano per mafia; e a Cuffaro che, condannato a 7 anni per favoreggiamento mafioso, è andato in carcere senza darsi alla latitanza. In ogni caso è giusto riconoscere che, dopo aver tentato di cancellare i suoi processi con una quarantina di leggi su misura, ed esservi in gran parte riuscito, il premier si è rassegnato all’idea di farsi processare.
C’è voluto parecchio tempo, ma alla fine – salvo ribaltoni dell’ultima ora – ci è arrivato anche lui. La domanda, a questo punto, è semplice: perché l’ha fatto?
Anzitutto, perché non aveva alternative. Nonostante il dispiegamento di forze politico-mediatiche messo in campo per delegittimare l’inchiesta sul caso Ruby, B. non è mai stato disarmato come in questa battaglia.
Il conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato alla Consulta per scippare il processo al Tribunale di Milano e dirottarlo al Tribunale dei ministri, previa autorizzazione a procedere della Camera (che la negherebbe su due piedi, come ha sempre fatto) è un fuciletto ad acqua: l’ha spiegato il presidente Ugo De Siervo che non spetta alla Consulta, ma al giudice ordinario (Gip, Tribunale, Corte d’appello, Cassazione) stabilire se un reato è ministeriale o meno; e l’ha ribadito
In ogni caso il conflitto alla Consulta non bloccherebbe il processo Ruby, che andrebbe comunque avanti con la sfilata di papponi e Papi-girls, almeno fino alla vigilia della sentenza.
Anche darsi alla fuga inventando “legittimi impedimenti” a raffica non servirebbe a nulla: dichiarando incostituzionale la legge sul legittimo impedimento,
Ma, soprattutto, c’è un attore che per 17 anni è rimasto assente nella guerra di B. alla magistratura: l’opinione pubblica. Che non è genericamente la “gente”, ma quei cittadini che, correttamente informati, fanno sentire la propria voce in piazza, sondaggi, elezioni. Grazie al monopolio berlusconiano dell’informazione, che ha provveduto a disinformare sui vari processi per corruzione, fondi neri, falso in bilancio, evasione fiscale, l’opinione pubblica s’è fatta idee confuse e spesso sbagliate dei fatti contestati (e in gran parte accertati) a carico di B.
Ora, invece, la vicenda Ruby è di una tale semplicità che tutti han potuto comprenderla, anche senza e contro l’informazione di regime.
Un vecchio malvissuto paga ragazzine in cambio di sesso e poi, quando una di esse – una prostituta marocchina minorenne senza documenti – viene fermata per furto, si attiva per farla rilasciare, spacciandola per la nipote di Mubarak, prima che parli.
Ce n’è abbastanza perché persino a molti dei suoi elettori (per non parlare di quelli leghisti) salga il sangue alla testa. Quando i fatti nudi e crudi riescono a raggiungere i cittadini, il tiranno è spacciato. È questa improvvisa ventata di normalità che ha costretto B. a una condotta normale. Resta un grande rimpianto: quanti anni fa ci saremmo liberati di lui se informazione e opposizione avessero fatto il proprio mestiere?
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