LUCA TELESE
Naoto Kan in tuta a pranzo, a cena e a colazione. E poi prudenza, eufemismi, giri di parole. Tirate d’orecchie in diretta al conduttore che ha detto qualcosa di troppo: “Ci scusiamo con i telespettatori, ma questa notizia non andava data”. Così, un paese con il fiato sospeso, si ritrova in queste ore un compagno catodico apparentemente discreto, dimesso. E un’informazione in cui la cifra dominante – almeno secondo gli standard occidentali – appare cloroformizzata. Lo ha detto Giuliano Ferrara a Radio Londra, ce lo hanno ripetuto tutti: “Che lezione ci stanno dando i giapponesi, con la loro compostezza, la loro disciplina, il loro senso di autorità”. Passando una giornata davanti alla Rai giapponese, il Mhk, si può ricavare un’impressione opposta. Ai giapponesi in queste ore potrebbe servire anche qualche bastiancontrario e un po’ di sano ed italianissimo scetticismo. Se non altro perché la televisione pubblica di queste ore, con le sue lunghissime dirette, è diventato lo specchio di una informazione che sembra ipercontrollata.
Se passi una mattina davanti alle dirette nipponiche ti accorgi che i mezzibusto del paese del sol levante si devono districare in una foresta di sinonimi sdrammatizzanti. Un caso memorabile è questo annuncio del conduttore del Tg: “E ora apriamo il notiziario con le informazioni sul blocco della fornitura elettrica programmata”. Finchè il corrispondente collegato non si esibisce in una invenzione perifrastica notevole: “Malgrado il disagio tutto procede per il meglio, anche se in queste ore la principale difficoltà dei cittadini è riuscire a capire dove e quando avverrà la sospensione della fornitura elettrica programmata”. Ma deve essere una lotta titanica anche per i cronisti, la scelta del conflitto interiore tra il comprensibile patriottismo e il racconto del disagio.
Nei film catastrofisti americani, spesso i network si fanno protagonisti del racconto e i presidenti arrivano ad annunciare la morte in diretta con una glasnost impeccabile. A Chernobyl mentirono. Nella comunicazione di queste ore, invece, sembra che la strategia dell’eufemismo sia radicata nel profondo. È una tv tranquillizzante, questa, in cui non ci sono resoconti diretti, ma solo testimonianze mediate: “I cittadini raccontano di trovare disagio nel rifornimento dei viveri”. E quelli che possono parlare, oltre ai giornalisti, sono le autorità istituzionali. Ad esempio il sindaco Sakurai, che raccontando in collegamento telefonico della catastrofe nella sua Fukushima sfiora l’ironia involontaria: “Purtroppo abbiamo un problema”. Già, eccolo l’altro grande eufemismo. Ogni volta che possono, i protagonisti ricorrono alla perifrasi.
Anche nel notiziario nazionale la frase ricorrente non è “Emergenza nucleare” ma “La difficoltà che il Giappone si trova ad affrontare”. Quasi mai si dice “Esplosione del reattore”, ma “Il problema incorso alla centrale”. Oggi le agenzie dicono: “Il premier si è rivolto in tv alla nazione”. In realtà è una non notizia. Naoto Kan è sempre in televisione – in diretta o in replica – dallo scoppio del terremoto. Con la famosa tuta da operaio, o da soccorritore. È un “piccolo fratello” partorito dall’emergenza, spesso sorretto dal controcanto del suo principale collaboratore: “Il portavoce del governo ha dichiarato che le radiazioni sono diminuite, e che sono sopra la norma, ma non nocive”.
In questa strana neolingua dell’emergenza rarefatta, però, non è detto che l’effetto caos non possa essere prodotto dalla mancanza della prospettiva temporale. Il limite dell’informazione responsabile, infatti, è che si trincera nella descrizione dell’instante. E però subito dopo è costretta a rincorrere i fatti. Ieri il Giappone si è addormentato con l’area di sicurezza a dieci chilometri, stamattina era a 20 km, stasera è diventata a 30 km. Peccato che fino a quel momento il notiziario aveva appena ripetuto che la fuga controllata di vapore radioattivo era diretta sull’oceano.
Il Fatto Quotidiano, 16 marzo 2011
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