giovedì 3 marzo 2011

Sahara Sport Village


di Marco Travaglio

Dunque, ricapitolando. Nella conferenza stampa di fine 2010, il Cainano dichiara orgoglioso: “Sono amico personale di tre presidenti del Nordafrica: Ben Alì, Mubarak e Gheddafi”. I tre si toccano furiosamente, ma ci vuol altro per sfuggire al bacio della morte. Infatti, nel giro di due mesi, scoppiano furibonde rivolte popolari contro Ben Alì, Mubarak e Gheddafi.

I primi due se la danno a gambe.

Il terzo resiste e bombarda la sua gente con truppe mercenarie e aviazione.

Protesta tutto il mondo libero, infatti l’Italia no. B. non fa nemmeno una telefonata al compare libico che massacra il suo popolo: “Non voglio disturbarlo” (non s’interrompe un’emozione). Frattini Dry, con la consueta perspicacia, aggiunge che la Libia di Gheddafi “è un modello di dialogo con le popolazioni”. Poi, con calma, gli spiegano quel che sta accadendo nella Libia di Gheddafi. E, per la prima volta, la sua fronte inutilmente abbronzata si increspa di rughe allarmate. Un rapido consulto con i consiglieri diplomatici (un maestro di sci altoatesino e un bagnino delle Antille che han visto in tv il Colonnello con l'ombrellino di Mary Poppins su un’Ape Piaggio). Poi il verdetto: il Colonnello è finito.

L’annuncio ufficiale lo dà il Cainano: “Sembra che effettivamente Gheddafi non controlli più la situazione”. In quel preciso istante è chiaro che Gheddafi ha ripreso il controllo della situazione. Si permette addirittura il lusso di copiare i testi del sosia brianzolo (pur disapprovandone il fard, decisamente eccessivo). Silvio dice: “Il 51% del popolo italiano mi ama”. E Muammar: “Il popolo libico mi ama”. Ieri, poi, ha voluto esagerare nel plagio: “Tutta colpa di al Qaeda... non ho poteri... non mi dimetto... il popolo vuole me... la Libia sono io... Proteste? No, solo manifestazioni in mio favore. E poi Berlusconi ha avuto 30 manifestazioni contro” e mica si è dimesso.

Manca solo un accenno alle toghe rosse e uno a Ruby nipote di Berlusconi, ma ci si arriverà: in fondo il bunga bunga al Cainano gliel’ha insegnato lui.

Comprensibile invece lo stupore del beduino per la giravolta del pover’ometto, che ancora pochi mesi fa “mi baciava la mano, mi chiedeva scusa” e ora fa finta di non conoscerlo.

Comprensibile anche il no alla missione umanitaria italiana: la prospettiva che sbarchi in Libia la cricca della Protezione civile, Sahara Sport Village incorporato e massaggiatrici in bikini al seguito, fa impallidire la piaga biblica delle cavallette.

Tornando in Italia, dalla tragedia alla farsa, c’è un altro personaggio pittoresco e variopinto che ha menato per il naso rifatto il Cainano: “Monsignor Patacca”, di cui ieri ha narrato le gesta Fabrizio d’Esposito sul Fatto. Il suo nome è “Sua Eccellenza Dott. Prof. Mons. Lucas Rocco Massimo Giacalone”, un siciliano sessantenne che sabato si aggirava riveritissimo alla convention dei Cristiano-Riformisti e poi al pranzo esclusivo col premier grazie a uno dei suoi più riusciti travestimenti: croce dorata al collo, fascia viola da vescovo cattolico. In altre occasioni, c’è chi lo ricorda con cappello e tunica neri da “vescovo vicario della Chiesa ortodossa bielorussa e slava di rito bizantino”. In realtà pare non sia né l’una né l’altra cosa, essendo fra l’altro divorziato e padre di due figli, ma soprattutto essendo stato sconfessato sia dal Vicariato di Roma, sia dal patriarca degli ortodossi slavobielorussi. Ma questo Giacalone è come l’avvocato pazzo interpretato da Sordi nel film di Verdone Troppo forte, che un giorno fa l’avvocato e un altro il ballerino: infatti, talvolta, si presenta come Massimo Denovo, insegnante di musica e organizzatore di festival canterini. Qualcuno si domanda che ci facesse uno così a pranzo con B. Beata ingenuità: un ossimoro vivente che l’anno scorso disse di rappresentare la “Chiesa ortodossa cristiana cattolica” (come dire “luterana cristiana cattolica” e pure un po’ islamico-buddista) dev’essere piaciuto un sacco al premier. Se non son fasulli, non li vogliamo.

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