sabato 5 marzo 2011

VENERDÌ DI GUERRA E PREGHIERA




Gheddafi riconquista Zawiyah e bombarda le città della Cirenaica

di Stefano Citati

Bengasi. La città impazzisce per sue nuove vittime di guerra. Il buio attorno all’ospedale Ajalaa è animato dalle ombre di centinaia di persone che affollano la strada, l’ingresso, i corridoi, fino alla camera mortuaria dove sono allineati 9 corpi, vittime di un raid aereo, dicono alcune fonti. Ma i medici smentiscono: a ucciderli sarebbe stata un’esplosione in un deposito di armi. Il cuore e il sangue della Libia si sono concentrati ieri nella capitale “liberata” e a Zawiyah, dove decine di persone sarebbero morte nella battaglia per la riconquista della città sulla costa a ovest di Tripoli. Nella capitale le proteste scoppiate dopo la preghiera del venerdì sarebbero state represse ma senza il bagno di sangue che si poteva temere alla vigilia e la spallata al regime di Gheddafi non è avvenuta, come si confidava a Bengasi – “l’altra capitale”, quella della Libia liberata – e invocava la folla che sotto la pioggia ha pregato nella piazza della rivoluzione del 17 febbraio.

A ZAWIYAH le truppe di Gheddafi avrebbero avuto ragione degli insorti dopo ore di combattimento che hanno riempito gli ospedali di “centinaia di vittime”, secondo un testimone oculare. Ma focolai di resistenza sarebbero ancora attivi in diversi punti della città di 300mila abitanti e centro petrolifero. Anche a ovest si è combattuto, ma questa volta a sferrare l'offensiva sono stati i patrioti dell'est per riprendere il controllo del terminale di greggio e gas di Ras Lanuf, sul confine tra Cirenaica e Tripolitania. I due punti di raccolta e smistamento del petrolio sulla costa del Golfo della Sirte, Brega e Ras Lanuf, sono dall'inizio della settimana al centro del tira-e-molla tra le forze governative e i ribelli di Bengasi che, colti di sorpresa dai raid aerei – compiuti anche ieri – e dall'attacco degli uomini di Gheddafi hanno poi risposto colpo su colpo. Tra i due centri divisi da un centinaio di chilometri si è assistito ad avanzate e ripiegamenti, con rapidi scontri lungo la strada sulle dune di fronte al mare e tra le colline di sabbia dell'entroterra. In queste battaglie ci sono state già decine di vittime: di certo almeno 4 ieri nell'area di Al Aghela, a metà strada tra Brega e Ras Lanuf. La lista delle vittime di mercoledì è rimasta affissa all'ingresso dell'ospedale del compound di Brega: 14 morti (tra cui un 13enne) e 28 feriti (tra cui 2 piccoli pastori). Ieri sera i ribelli avevano ripreso l'aeroporto poco fuori dal compound petrolifero più a est, riconquistato dalle truppe del raìs un paio di giorni prima, anche grazie all'arrivo di nuovi volontari da Bengasi e a una catena di comando che dopo i primi giorni sembra adesso assestarsi, anche se non perfettamente. Dei circa 5mila uomini che ieri sotto il cielo grigio e basso che scaricava pioggia – come venerdì scorso – si inginocchiavano in preghiera sul lungomare di Bengasi, molti erano quelli pronti a partire. Tanti i ragazzi con scarpe da ginnastica e i pantaloni a vita bassa dai quali spuntavano le mutande quando si genuflettevano rivolti alla Mecca. La voce stentorea dell'imam Nabil Sati ha per oltre un'ora alimentato la fede e l'entusiasmo della folla, invocando: “Allah, aiutaci a cacciare il porco e pensa alle madri dei martiri”. “Allah Akbar”, ritmavano i fedeli a ogni slogan della guida religiosa, per poi alzare in crescendo il canto di preghiera che saliva al cielo da piazza Tahrir, Libertà, lo stesso nome del cuore della protesta del Cairo, la rivoluzione del paese confinante, riuscita in modo quasi incruento dagli egiziani.

RAFFICHE di kalashnikov in aria chiudevano la preghiera e aprivano il pomeriggio di comizi e assembramenti davanti al tribunale, divenuto palazzo del nuovo governo. Sarebbero oltre 5mila i volontari che hanno firmato nel nuovo esercito delle terre libere, portando il totale delle forze su cui può contare il Comitato militare a oltre 22mila uomini: circa 10mila per la difesa di Bengasi, il resto a combattere sul fronte occidentale. Ma il comando generale delle milizie cirenaiche non appare ancora perfettamente funzionante. Ieri fonti del Comitato civile tenevano a precisare che il colonnello Abdallah El Mahdi che si era autoproclamato portavoce delle “forze armate” chiedendo la creazione di una “no fly zone” contro i raid dei caccia del Colonnello Gheddafi non ha in realtà questo ruolo, bensì solo quello di ufficiale di coordinamento tra i gruppi armati dei rivoluzionari e le truppe dell'ex esercito regolare. E' un civile, Khalid El Sayeh, lo speaker ufficiale, a dimostrare come tra ribelli e militari passati al loro fianco le diffidenze e incomprensioni non siano finite. Mal'entusiasmo e la ripetuta disponibilità al martirio di tanti Shabaab, pare abbiano finora supplito alla mancanza di coordinamento e alla scarsa capacità militare di tanti volontari partiti a combattere. Proprio sul panico e la scarsa esperienza del nemico starebbe contando Gheddafi: il figlio Saif Islam ha detto giovedì che “i raid sono stati compiuti per spaventare e non per uccidere la nostra gente”.

IN QUESTA STRATEGIA potrebbero rientrare anche le due esplosioni sentite nell'area occidentale di Bengasi ieri sera, tra la zona di Benina sede di un deposito di armi. Non è chiaro, però, se la responsabilità sia del raìs. Anche se per la comunità internazionale che lo sta cingendo d'assedio – finora solo diplomaticamente – il Colonnello è già nella lista dei colpevoli di crimini contro l'umanità e da ieri è ricercato dall'Interpol, che ha spiccato un mandato di cattura internazionale. Per adesso il suo indirizzo è: bunker di Tripoli.

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