lunedì 11 aprile 2011

Cene di corrente e pugnalate il Pdl sull'orlo dell'abisso


di FRANCESCO BEI

Il Pdl è un barcone alla deriva. Gianfranco Micciché lo ha compreso prima di altri. E oggi Micciché si prende il lusso della rivincita su chi sghignazzava sulla "scialuppa senza futuro" di Forza del Sud: "Le scialuppe si mettono a mare quando la nave sta per affondare". I segnali di crisi si moltiplicano. Basta un niente, una cena segreta di ministri forzisti in hotel romano, come quella di giovedì scorso, per provocare reazioni a catena sempre più forti. Ieri da Arcore, riecheggiando un editoriale molto esplicito di Giuliano Ferrara sul Giornale, Silvio Berlusconi ha mandato a tutti un chiaro segnale di insofferenza: "Basta con queste liti. Io sono ancora qua, a battermi come un leone, e c'è chi pensa già al mio funerale. Ma si illudono". Perché è chiaro che, al di là delle baruffe chiozzotte tra ex forzisti ed ex colonnelli di An, al fondo della questione c'è la grande corsa per posizionarsi nel dopo-Berlusconi. È questo il male oscuro che sta corrodendo il Pdl dall'interno.
I quotidiani d'area hanno già fiutato il problema. "Berlusconi è bollito?", si è chiesto
Libero. E Feltri, pur proclamandone l'insostituibilità, ha impietosamente definito ieri il caro leader come "stanco", "provato", "rintronato". Un battitore libero come Giancarlo Lehner, prestato dal Pdl ai responsabili, evoca addirittura "un 25 luglio, fissato a mercoledì prossimo, ad opera, questa volta, di imbecilli organizzati dentro il Popolo della libertà". È vero che proprio per mercoledì, giornata in cui alla Camera è atteso il voto finale sul processo breve, un irrequieto Claudio Scajola ha fissato una cena romana con tutti i suoi seguaci (una quarantina). Ma difficilmente la pugnalata finale arriverà dal politico ligure. Amareggiato per essere tenuto ancora fuori dalla porta, Scajola ieri ha confidato a un amico la sua delusione: "Contro di me si è scatenata la P4". Aggiungendo comunque di non voler "creare problemi a Berlusconi" e smentendo le voci di un suo imminente passaggio al terzo polo.

Il movimento più clamoroso in corso è quello dei ministri di area forzista. Nella saletta dell'hotel Majestic c'erano quasi tutti, su invito di
Paolo Romani, da Alfano a Frattini, da Prestigiacomo alla Gelmini, e poi Fazio, Carfagna, Fitto. Da un antipasto contro gli ex An, soprattutto contro La Russa, gli otto sono passati rapidamente al vero scopo della serata, l'attacco studiato a tavolino contro Giulio Tremonti. Raccontano che a spronarli di nascosto sia stato lo stesso Cavaliere, sempre più impaziente di ottenere dal ministro dell'Economia quella riforma fiscale che sembra perduta nei cassetti di via XX Settembre. Berlusconi sente che la benzina del governo è agli sgoccioli, ha bisogno come l'aria di un provvedimento che ridia al Parlamento qualcosa su cui discutere per i prossimi due anni. Al di là delle leggi sulla giustizia. "Alfano - spiega uno dei ministri non invitati alla cena - non muove un passo senza averne prima informato il premier. È ridicolo pensare che abbia partecipato a un'iniziativa di corrente senza prima averne ricevuto l'assenso da Berlusconi". Insomma, il Cavaliere starebbe organizzando i suoi come massa di manovra contro l'unico vero rivale in campo per la successione: Giulio Tremonti. Berlusconi in privato ha promesso che, prima delle amministrative, la legge delega sulla riforma del fisco dovrà arrivare sul tavolo del Consiglio dei ministri. E su questo non transige. L'irritazione dei confronti di Tremonti è cresciuta anche per le recenti nomine nelle aziende pubbliche. "La Lega e il ministro dell'Economia - osserva uno degli uomini del premier - hanno preso tutto, hanno vinto a manbassa. A Berlusconi hanno lasciato la nomina di Maria Grazia Siliquini nel Cda delle Poste". L'ira del premier contro titolare dell'Economia è condivisa da molti dei suoi ministri. "Ormai - si è lamentato Alfano alla cena del Majestic - a me Tremonti nemmeno mi saluta più".

Che non siano stati gli ex An l'oggetto della cena dei ministri forzisti lo spiega con un certa ruvidezza la stessa presunta vittima del complotto,
Ignazio La Russa. "Posso solo dirle - confida - che so per certo che non ce l'hanno con noi. Nei manuali di tattica militare si chiama "falso scopo", è quando vuoi attaccare un obiettivo e fai credere al nemico di puntare qualcos'altro. Sbaglia chi se la prende con noi, anche perché non siamo in gara per il dopo-Berlusconi, che oltretutto ci sarà fra vent'anni. Anzi, dico di più: siamo proprio noi ex An il collante di questo partito". La Russa non ci sta a fare il capro espiatorio delle divisioni altrui. Ma l'era del triumvirato a via dell'Umiltà ormai è alla fine.

(11 aprile 2011)

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