di Marco Travaglio
Proseguono, nel quadro della progressiva abrogazione della logica aristotelica, i delirii sul caso Ciancimino. Il Giornale e Libero (due testate, due ossimori) spacciano la seguente leggenda: Ciancimino si sveglia un mattino di tre anni fa e decide di migliorare la sua qualità della vita fabbricando calunnie su premier, ministri e alti funzionari della Prima e della Seconda Repubblica accusandoli di aver trattato con la mafia e corre a consegnarle alla Procura di Palermo.
I bocconi più prelibati sono ovviamente B. e Dell'Utri che lui, sempre per vivere meglio, getta in pasto alle toghe rosse (com’è noto, infatti, chi accusa B. e Dell’Utri fa un carrierone).
I pm, per tre anni, prendono tutto per oro colato, fiancheggiati da stampa e tv (notoriamente in mano alle sinistre). Poi arriva
Fine della storia, applausi di Cicchitto & Gasparri.
Per chi eventualmente fosse interessato ai fatti, le cose sono andate in tutt’altro modo.
Nel 2005 Ciancimino jr. compare per la prima volta davanti alla Procura di Palermo (allora retta da Grasso e Pignatone), che lo indaga per aver riciclato il tesoro di don Vito, gli sequestra 64 milioni, gli perquisisce le case e lo intercetta per due anni (2003-2005). In alcune telefonate Massimo parla di soldi da versare ad alcuni parlamentari siciliani (Vizzini, Cuffaro, Cintola, Romano), ma i nastri finiscono in un cassetto, nè trascritti né inviati al Parlamento per l'autorizzazione.
Sempre al telefono, con la sorella Luciana, Ciancimino parla di un assegno di 35 milioni di lire che Berlusconi staccò nei primi anni
In casa Ciancimino, i carabinieri dimenticano di aprire la cassaforte, visibile a occhio nudo: peccato, perché conteneva sia il papello sia l’assegno di B.
I militari trovano però, fra le carte di don Vito custodite dal figlio, “parte di foglio A4 manoscritto contenente richieste all’on. Berlusconi per mettere a disposizione una delle sue reti televisive”. Ma nemmanco su quello Ciancimino viene interrogato, anzi il documento scompare dagli atti del suo processo.
Nel dicembre 2007 la svolta. Ciancimino racconta a Nuzzi di Panorama (direttore Belpietro) il suo ruolo nella trattativa fra il Ros e il padre e lamenta che nessuno l'abbia mai sentito sul punto.
La nuova Procura (retta ora da Messineo) lo convoca subito: lui conferma e aggiunge molto altro. Ma solo quando consegna il “papello” e altre carte autografe del padre si ha la prova che la sa lunga.
Poi arrivano i Martelli, Ferraro, Violante, Conso a confermare con i loro tardivi ricordi ciascun tassello di un mosaico iniziato dieci anni prima da Brusca e dagli stessi Mori e De Donno.
Intanto una fonte avverte i pm in casa Ciancimino i carabinieri trovarono molto più di quanto risulti. Ed ecco saltar fuori dal fondo di uno scatolone l’appunto su B: l’autore (Provenzano o don Vito per suo conto) promette appoggio elettorale a B. in cambio di una tv e minaccia, in caso contrario, un “triste evento”.
I pm richiamano Massimo e gli sventolano il foglio sotto il naso. Lui sbianca, piange, trema, mente, poi è costretto a vuotare il sacco: una corrispondenza fra Provenzano e B. fra il 1992 e il ’94 e una serie di carte del padre su B e Dell’Utri, che non fanno che confermare quanto già si sapeva sui rapporti mafiosi dei due.
Carte ritenute autentiche dalla Scientifica che poi ha smascherato il falso su De Gennaro. Dunque Ciancimino fu costretto dalle sue intercettazioni e dalle sue carte a parlare di B. e di Dell’Utri, mentre all’inizio non ne voleva proprio sapere. Infatti, per confidarsi, scelse proprio il settimanale della famiglia B. Furbo, eh?
1 commento:
MENO MALE CHE IL CASTIGAMATTI TRAVAGLIA SMONTA TUTTE LE PORCHERIE DI UN INDECENTE GIORNALISMO E DI GIORNALISTI (SI FA PER DIRE) SENZA ONORE!
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