domenica 3 aprile 2011

Italiani, brava gente o razzisti?


Goffredo De Pascale

Italiani brava gente? Una volta, forse. Gli ultimi dati restituiscono un’immagine del Belpaese in cui xenofobia e razzismo appaiono come fenomeni sempre meno striscianti e più conclamati. La conferma viene da Human Rights Watch nel rapporto pubblicato in occasione della Giornata mondiale contro la discriminazione razziale.

Non è tutto, però. Sono in aumento anche i casi di tratta e quelli di sfruttamento che in gran parte riguardano cittadini extracomunitari in possesso di un regolare permesso di soggiorno. A rendere più preoccupante la situazione è il fatto che il governo non ha preso alcuna decisione per prevenire o affrontare sul nascere un fenomeno che è già esploso a Castelvolturno in Campania e a Rosarno in Calabria e rischia di dilagare. Se si tratti di una precisa volontà politica dettata dalla componente leghista o se sia una questione di tagli contabili che in tempi di crisi vede il governo italiano intento a falcidiare le spese sociali non è chiaro; forse siamo dinanzi a una concomitanza di intenti, di sicuro però tutte quelle strutture che da anni hanno garantito con continuità una rete per fare emergere sfruttamenti e vessazioni rischiano di venire smantellate proprio per mancanza di fondi.
La tratta e il lavoro forzato sono tra i crimini più diffusi, a basso rischio e redditizi, secondi soltanto al traffico di armi e di sostanze stupefacenti. Dagli studi dell’Ilo (International Labour Organization) emerge che nel 2005 il profitto mondiale annuo del lavoro forzato è pari a 31,7 bilioni di dollari; nel 2007 sale a 44 bilioni di dollari, 32 dei quali provenienti dalla sola tratta di persone. Il costo della coercizione ammonterebbe a 21 bilioni, al netto dello sfruttamento sessuale coatto; costo che si esprime in termini di mancati guadagni, tutele e violazioni dei diritti dal lavoro prestato in tal maniera e che si somma alla sofferenza fisica e psicologica, aspetti non quantificabili.
Nel 2009 in Italia, secondo i calcoli Istat, sono 2.966.000 le unità di lavoro non regolare; gli irregolari residenti (italiani e stranieri) sono 1.652.000 unità, gli stranieri clandestini sono circa 377.000 (una quota marginale pari al 12,7%). E ancora, nel 2007, sempre secondo l’Istat, nel Mezzogiorno si è registrato il doppio di lavoro irregolare rispetto al Nord: la Calabria ha registrato il 27,3%, di contro il Piemonte è al 9,8%, la Lombardia è all’8,4% e il Veneto al 9,9%.
Le vittime di tratta per anno nel mondo sono circa 800.000 secondo il Dipartimento di Giustizia statunitense; quelle giunte in Europa sono 500.000 di cui l’80% donne, la metà delle quali minori (fonte Org. Int. del Lavoro e Org. Int. delle Migrazioni). In Italia, secondo il governo, le vittime di tratta sono più di 30.000 mentre sarebbero circa 5.000 gli indagati per riduzione in schiavitù.
La maggior parte dei casi riguarda lo sfruttamento sessuale (donne, ragazze minorenni, uomini e trans); seguono lavoro nero (agricoltura, edilizia, manifatture, commercio) e attività illecite (furto, spaccio). Secondo i dati del ministero per le Pari opportunità, le vittime provengono per lo più da Nigeria, Romania, Moldavia, Albania, Ucraina. Sono 4.466 i minori stranieri non accompagnati presenti in Italia, 2.500 quelli seguiti da Save the Children tra il 2009 e 2010. Afghani, egiziani bengalesi e romeni le nazionalità più presenti.
Il 31 luglio scorso, con soli dieci giorni di preavviso, sono stati chiusi i 14 presidi territoriali collegati al numero verde anti tratta e sfruttamento 800 290 290 istituito nel 2000 in seguito all’approvazione della legge Turco-Napolitano e coordinati dal ministero per le Pari opportunità. Il centralino, ubicato a Venezia, è ancora in funzione, ma chiunque voglia denunciare soprusi subiti non ha più a disposizione 24 ore su 24 équipe specializzate che in dieci anni di attività hanno avuto a che fare con migliaia di casi. Questi, per la precisione, i dati forniti dallo stesso Dipartimento per le Pari opportunità che si è visto tagliare i fondi con l’ultima finanziaria: 2.000 le richieste d’aiuto all’anno; 50.000 circa le persone che hanno ricevuto una prima assistenza dal 2000 al 2008; 20.000 circa quelle che hanno partecipato ai progetti di protezione sociale dal 2000 al 2010. Un enorme giro di malaffare portato alla luce grazie al lavoro lento e costante dagli operatori delle 14 realtà territoriali che vanno dalla cooperativa Lotta all`esclusione di Milano al Comune di Venezia, dalla cooperativa Dedalus di Napoli al Gruppo Abele Torino, all’associazione On the road presente nelle Marche e in Abruzzo.
“Il contatto tra la vittima e il pubblico ministero o la polizia giudiziaria – conferma la Relazione annuale 2009 della Direzione nazionale antimafia - è difficile per più motivi: diffidenza, timore di rappresaglia sui familiari, timore della corruzione nel pubblico ufficiale, timore comunque di testimoniare. In questo contesto l’organismo privato (le Ong, organizzazioni non governative) può fornire un valido supporto utilizzando i mediatori culturali che sappiano cogliere anche le diversità tra i diversi gruppi etnici cui la vittima può appartenere, e quindi darle una conoscenza del sistema sociale e giudiziario italiano che la convinca successivamente a collaborare per individuare la rete dei trafficanti. È stato questo il motivo per cui la Dna (Direzione nazionale antimafia) ha incoraggiato varie riunioni tra Dda (Direzioni distrettuali antimafia) e Ong per favorire l’inizio o lo sviluppo di un più stretto rapporto tra questi diversi organismi”. Insomma, un lavoro riconosciuto e prezioso che rischia seriamente di essere vanificato nel volgere di una stagione.
Oltre l’istituzione del numero verde, la legge Turco-Napolitano ha previsto nel decreto attuativo - con gli art.13 e 18 - degli interventi di sostegno per le vittime che denunciano i loro aguzzini.
La Finanziaria dello scorso anno per continuare a garantire i progetti relativi all’art. 13 ha utilizzato i fondi di un piano contro le mutilazioni genitali. La copertura è garantita fino al 31 dicembre 2011. I finanziamenti per attuare l’art. 18 (inizialmente pari a 10 miliardi di lire) in due tranche sono stati ridotti da 4 milioni e 600 mila euro a 3 milioni e 800 mila. Gli operatori paventano anche in questo caso la possibilità concreta di un azzeramento. Così dal prossimo anno in Italia si ridurranno drasticamente i casi di tratta e di sfruttamento non perché oggettivamente debellati, ma soltanto per evidenti limiti di intervento.
La conferma di quanto sia delicato il quadro generale arriva da Human Rights Watch che ha da poco presentato il dossier L'intolleranza quotidiana: la violenza razzista e xenofoba in Italia. E’ il risultato di una ricerca condotta nel 2010 che comprende decine di interviste di vittime di violenza, magistrati e funzionari di governo, documentando casi di sopraffazione a sfondo razzista e xenofoba contro immigrati, italiani di discendenza straniera, rom e sinti avvenuti negli ultimi anni, nonché la risposta dello Stato a tali crimini. Secondo l’organizzazione internazionale, gli immigrati, gli italiani di origine straniera e i rom sono stati vittime di "brutali attacchi". Il rapporto denuncia in 81 pagine le "mancanze dello Stato italiano nel prendere misure efficaci contro i crimini imputabili a odio discriminatorio. Sono rari i casi in cui l’aggravante razzista - continua Human Rights Watch - venga contestata nelle azioni penali per violenze, e le autorità italiane tendono a sminuire la portata del problema e non condannano con la necessaria forza gli attacchi". Il rapporto sottolinea poi "l’inadeguata formazione delle forze dell’ordine e del personale giudiziario e l’incompletezza della raccolta di dati". Allo stesso tempo, "la retorica dei politici, le misure del governo e la cronaca mediatica collegano gli immigrati e i rom alla criminalità e contribuiscono ad alimentare un clima di intolleranza". Il governo, "dedica molta più energia a incolpare i migranti e i rom dei problemi che attanagliano l’Italia di quanto non faccia per fermare gli attacchi violenti contro di loro", sostiene Judith Sunderland, ricercatrice senior per l'Europa occidentale di Human Rights Watch. "Le dichiarazioni allarmiste del governo su un’invasione di 'proporzioni bibliche' dal Nord Africa è solo l’ultimo esempio di retorica irresponsabile. I funzionari dovrebbero proteggere i migranti e i rom dalle aggressioni". Vengono invece documentati preoccupanti casi di maltrattamento proprio contro i rom da parte delle forze dell’ordine, sia durante le operazioni di sfratto dei campi che nelle stazioni di polizia o dei carabinieri. E ancora, le autorità hanno registrato 142 crimini imputabili a odio discriminatorio nei primi nove mesi del 2009, ma in un periodo pressappoco uguale esaminando le notizie pubblicate sulla stampa un’organizzazione italiana anti-razzista ha registrato 398 di questi crimini, fra cui 186 aggressioni fisiche (18 delle quali hanno portato alla morte dell’aggredito).
La legge italiana prevede delle pene detentive più severe per reati aggravati della motivazione razziale, ma questo strumento - sostiene l’organizzazione - non si è ancora dimostrato all’altezza delle sue ambizioni. La legge Mancino del 1993 è stata spesso interpretata dai pubblici ministeri e dai giudici come applicabile solo ai crimini unicamente motivati dall’odio razziale, lasciando che gravi crimini razzisti venissero perseguiti come se si trattasse di reati comuni. Un esempio? La violenza estrema nel gennaio 2010 a Rosarno sofferta dai lavoratori stagionali africani che si videro scatenati contro raid e sparatorie partite da macchine in corsa, in tre giorni di violenza di bande che causarono il ricovero in ospedale di almeno 11 migranti con gravi ferite, non ha portato a processi e condanne per crimini motivati dall’aggravante razzista.
Secondo Human Rights Watch questo tipo di violenza va condannata fino al più alto livello, con coerenza, continuità e forza; il diritto penale va riformato per assicurare che la circostanza aggravante della motivazione razziale possa essere contestata anche in presenza di motivazioni miste, e per ampliare l’elenco estendendolo anche all’orientamento sessuale e all’identità di genere non contemplate dalla legge Mancino.

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