venerdì 22 aprile 2011

La Direzione del dito alzato un anno dopo



di Flavia Perina

Caro direttore, a un anno esatto dalla famosa “direzione del dito alzato”, il 22 aprile 2010, che segnò la definitiva frattura tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi vorrei usare “Il Fatto” per lanciare un appello agli amici di Futuro e libertà. In tanti dibattiti televisivi abbiamo risposto alla fatidica domanda sul “tradimento” dicendo: non siamo noi che abbiamo tradito, è Berlusconi che ci ha cacciato. Dodici mesi dopo è tempo di archiviare quel ritornello, perché è evidente a tutti – oggi, 22 aprile 2011 – che probiviri o no, espulsione o no, Montecarlo o no, le nostre idee e la nostra stessa concezione della politica sono radicalmente incompatibili con tutto ciò che il Pdl ha scelto di rappresentare in questa sua fase terminale. Sì, “formalmente” siamo stati cacciati, ma anche se non fosse successo ce ne saremmo andati perché non riesco a immaginare la destra finiana al servizio del progetto che il premier sta portando allo scoperto in questi giorni: uno Stato ad personam dove tutto, dal primo articolo della Costituzione fino alla legge elettorale passando per il codice penale e il Parlamento, è al servizio del suo interesse politico ed economico. E come talvolta avviene, c'è voluta la sintesi di un intellettuale atipico, Antonio Pennacchi (foto), per svelare quale sia il centro della questione: altro che destra e sinistra, il vero spartiacque oggi è tra chi sta con lo Stato e chi con l'Italia dell'interesse privato, “disprezzata all'estero e miserabile all'interno”, come ha ammesso pure Stefania Craxi.

E allora è arrivato anche il momento di uscire dal vittimismo inconsapevole che ci ha accompagnato fino a ora. Qualche tempo fa Peppino Caldarola ha scritto che la repressione del dissenso finiano “entrerà negli annali della destra italiana come l'esempio della sua irriformabilità”, assieme allo spettacolo dei “cosiddetti liberali che difendono le notti di Arcore”, ma assistono senza battere ciglio e senza verificare l'attuazione dei loro principi a una “caccia al finiano” senza esclusione di mezzi.

Ora che la caccia riprende (“Fini cameriere di Bersani”, titolava ieri “Libero”) animata dalle ossessioni del Cavaliere sul complotto tra il presidente della Camera e le toghe, smettiamo di lamentarcene e rovesciamo lo schema, facciamo nostre le ragioni politiche dell'accanimento.

Berlusconi ha ragione a mettere nel mirino Futuro e libertà.

Tutti i sondaggi dimostrano che alle prossime elezioni politiche sarà il consenso che otterrà Fli con il Nuovo Polo a determinare la sua possibile sconfitta. E questa volta non sarà battuto (se lo sarà) dalle “estreme” che lo sconfissero nel 2006, dai giustizialisti o dai komunisti, ma da uno schieramento che lo contesta in nome del popolarismo europeo, del patriottismo, dell'interesse nazionale, dei valori del civismo e della legalità: per questo i finiani sono il suo incubo peggiore, e credo sia un titolo di merito.

Né cacciati né vittime di Berlusconi, allora, ma orgogliosi di essersi chiamati fuori dalla macchina del potere berlusconiano con lo scopo dichiarato di aprire una nuova stagione per l'Italia, separando ciò che è nostro da ciò che è “suo”, secondo la magistrale descrizione il suo migliore amico, Fedele Confalonieri: “Alla politica un tempo si avvicinavano uomini mossi da grandi ideali. La rivoluzione di Berlusconi ha dato una occasione agli agnostici della politica: uomini sempre rimasti ai margini, stufi dell'austerità e del cattocomunismo, naturalmente di destra anche perché considerati dalla sinistra come baluba, ignoranti, stupidi mentre erano in realtà disimpegnati, un po' egoisti, al limite un po' gretti, quelli che vogliono il Suv e l'orologio firmato”.

È la famosa “pancia” del Pdl a cui ieri si è rivolto “il Giornale”, aprendo una campagna per l'elezione di Roberto Lassini, il responsabile dei manifesti che equiparano a brigatisti i magistrati milanesi. “Lassini è il portavoce della pancia del popolo berlusconiano, che non ha meno diritti di altre componenti”, ha scritto Sallusti.

Ecco, ovunque stia gente così, la destra di Borsellino e di Falcone non può che stare dall'altra parte.

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