domenica 17 aprile 2011

L'exit strategy del Cavaliere verso le elezioni "I processi mi fanno crescere nei sondaggi"


di CARMELO LOPAPA

L'ombra delle manovre di palazzo per disarcionarlo. Il timore per le possibili mosse del Quirinale sulle leggi sulla giustizia. "Andremo fino in fondo se mi consentiranno di fare la riforma della giustizia e quella costituzionale, diversamente io porto tutti al voto, meglio le urne" si sfoga un Silvio Berlusconi galvanizzato dal bagno di folla all'Eur ma agitato dai due spettri che hanno segnato gli ultimi giorni.

Il premier spiega ai consiglieri più fidati, a chi lo sente evocare a sorpresa elezioni anticipate proprio nel momento in cui dichiara di essere più forte di prima, di vantare la maggioranza più coesa. Il fatto è che i sondaggi consegnatigli da Euromedia questa settimana - raccontano da Palazzo Chigi - avrebbero sollevato parecchio gli umori dell'inquilino. "Se votassimo a breve, vincerei ancora con una larga maggioranza" rivela ai suoi tenendosi sul vago sui numeri. Dunque, la scadenza naturale del 2013 potrebbe non essere più così "naturale". Di più. Tra i processi a suo carico, il presidente del Consiglio teme realmente il solo giudizio sul caso Mills, per altro imminente. E l'approvazione anche al Senato della prescrizione breve lo scioglierebbe in via definitiva dalla principale fonte di preoccupazione sul fronte giudiziario. A quel punto, prescritta l'accusa più pesante, sentirebbe di poter affrontare con maggiore sicurezza le urne.

Berlusconi perciò non tollera intralci sul cammino della norma, ora al Senato per il via libera atteso nelle prossime settimane. Il capo dello Stato Napolitano ha fatto sapere che si riserva di esaminare il testo a tempo debito. Considerazione scontata, che tuttavia il Cavaliere ha raccolto non senza apprensione, raccontano. Ecco perché lo spauracchio della richiesta di scioglimento anticipato delle Camere e del voto, agitato ieri dopo parecchio tempo, ha avuto tutto il sapore di un messaggio indirizzato anche al Colle. Il Quirinale tuttavia non si fa trascinare nella polemica politica. Ieri si è chiuso nel più stretto riserbo. D'altronde, la posizione della più alta carica dello Stato sulla giustizia, sul ruolo dei magistrati, è nota. E, se necessario, verrà ribadita nelle sedi istituzionali e nei tempi che la presidenza della Repubblica riterrà più opportune.

In ogni caso, il ddl sulla prescrizione breve e poi sul "processo lungo" e infine la norma in arrivo per la sospensione del processo Ruby sono tappe che Berlusconi e i suoi ritengono irrinunciabili. "La riforma della giustizia nel suo complesso è indispensabile e senza quella meglio andare a votare - è l'esegesi della fedelissima
Daniela Santanché - Alcune procure non possono pensare di far cadere Berlusconi, stravolgere la volontà popolare". L'obiettivo, per dirla col neo ministro Saverio Romano, "è solo quello di introdurre in Costituzione meccanismi di check and balance anche per la magistratura".
Giustizia ma non solo. Sono state anche le scosse telluriche degli ultimi giorni a far vacillare alcune delle certezze del Cavaliere. Il tramonto repentino di
Cesare Geronzi - al vertice di un potere finanziario che è stata colonna portante del sistema berlusconiano - l'affondo del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia contro il governo e ancora l'appello di Pisanu e Veltroni per un "governo di decantazione". Ecco, tutto questo ha acceso l'allarme rosso a Palazzo Chigi. Fabrizio Cicchitto di quel sospetto non ne fa mistero, parla di "prime mosse di una manovra di palazzo di cui ancora non si vedono gli elementi costitutivi". Manovra per disarcionare il capo, sottinteso. Se qualcosa del genere dovesse mettersi in moto, l'esito sarebbero le urne, è l'avvertimento di Berlusconi. Se proprio di messaggio si tratta, Gaetano Quagliariello lo esplicita senza giri di parole: "Io resto convinto che ci siano tutte le condizioni per portare a termine la legislatura, ma se non dovesse essere così, allora non abbiamo paura di andare al voto, siamo pronti, la macchina del partito è pronta".

Già, il partito. Con l'exploit del palacongressi il premier riprende in mano i cocci di un Pdl in frantumi. Minaccia di cambiare tutto, torna a indossare i panni del leader e manifesta per la prima volta in pubblico tutta la sua irritazione per cene e correnti, guerre di potere e polemiche. Perché il partito è Berlusconi. Altro che successione.

(17 aprile 2011)

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

NON E' UNO STUPIDO E NON SI DIMETTERA', NON AVRA' IL CORAGGIO DI FARLO. SE LO FACESSE L'ARMA DI RICATTO NEI CONFRONTI DEI PARLAMENTARI CHE DEVONO TERMINARE, A FINI PENSIONISTICI LA LEGISLATURA, NE RESTEREBBE SPUNTATA E NON E' DIFFICILE IPOTIZZARE CHE QUESTI STESSI PASSEREBBERO ARMI E BAGAGLI NEL C.D. "GOVERNO DI DECANTAZIONE" AUSPICATO DA BEPPE PISANU E WALTER VELTRONI.