L’ex ministro ai pm: “Quelle utenze telefoniche non sono mie”
di Antonio Massari
“Non sono le mie utenze telefoniche”. Bastano queste poche parole, pronunciate pochi giorni fa dal presidente della commissione Antimafia Giuseppe Pisanu, a demolire le basi del “più grande scandalo della storia della Repubblica”. Fu con queste parole che, nel 2009, Silvio Berlusconi definì Gioacchino Genchi. Parliamo del consulente informatico che lavorò con Giovanni Falcone, che s’è occupato delle stragi di Capaci e via D’Amelio e che oggi sarà in tribunale, a Roma, per la sua prima udienza da imputato: l’accusa è di concorso in abuso d’ufficio, con l’ex pm Luigi De Magistris, per aver acquisito illegalmente, nell’inchiesta Why Not, i tabulati di otto parlamentari. “Il più grande scandalo della storia della Repubblica”, a partire da oggi, rischia però di ribaltarsi. C’è una sorpresa firmata dal presidente della commissione Antimafia, Giuseppe Pisanu, che in un verbale d’interrogatorio scagiona totalmente Genchi. E rovescia l’impianto accusatorio firmato da un’informativa del Ros dei carabinieri.
TRA LE UTENZE telefoniche indebitamente “trattate” da Genchi – sostiene il Ros – c’è anche quella di Pisanu. Interrogato dagli avvocati di Genchi, nel corso delle indagini difensive, Pisanu smentisce categoricamente: nessuna delle utenze appartiene a lui. A questo punto, lo “scandalo” è l’approssimazione delle indagini che hanno portato Genchi in un ciclone di accuse infondate. Quando gli avvocati Ivano Iai e Fabio Repici elencano i cinque numeri di telefono – quelli che Genchi avrebbe illegittimamente acquisito e processato – Pisanu non ha dubbi: “Riconosco esclusivamente quella contraddistinta dal n° 335 (…), in uso esclusivo a mia moglie Anna Maria. Delle altre (…) è certo che non si tratta di utenze in uso a me, né come utenze personali, né come utenze di servizio”. Quattro righe che smontano un castello d’accuse inviate, il 16 giugno 2009, all’ex procuratore aggiunto di Roma, Achille Toro, e ai pm Nello Rossi, Andrea de Gasperis e Maria Cristina Palaia. Secondo il Ros, non solo Genchi avrebbe acquisito i dati di Pisanu, ma avrebbe nascosto il suo intento al pm: “Tutti i riferimenti a “Giuseppe Pisanu” e al “ministero dell’Interno” vengono accuratamente omessi da Genchi nella relazione al pm”. Il Ros precisa che per un’utenza, che Genchi indica appartenere a Stefania Ilari, nella rubrica sequestrata ad Antonio Saladino, l’unica indicazione era riferita, invece, proprio a Pisanu. È quella della moglie di Pisanu, Anna Maria, che non è soggetta alle guarentigie e anche per il Ros non sarebbe stato difficile accertarlo. Il Ros si limita invece a rilevare che, già dall’agenda di Saladino, i numeri dei telefoni risultavano riconducibili a Pisanu. Anche quella che Genchi ritiene intestata a Stefania Ilari che, nella rubrica di Saladino, viene nominata in questo modo “PisanuAm*”. Né la “A” né la “M” corrispondono alle iniziali di Pisanu. E infatti si tratta di sua moglie. Ma stranamente il Ros – che ha scandagliato le utenze dello staff e della famiglia di Pisanu – questo “dettaglio” non riesce a scoprirlo. Anzi scrive: “Genchi utilizzava solo le risultanze dell’utenza di Stefania Ilari”, evitando di associarla al senatore Giuseppe Pisanu, intestatario di tale utenza sin dal 2001. Stefania Ilari era stata intestataria del numero telefonico tra il 1998 e il 2000, annota sempre il Ros, mentre dal 2001 viene intestata a Pisanu. E quindi: “Appare evidente che l’indicazione di tale nominativo – Stefani Ilari –, ormai privo di significato, ha avuto come unico effetto quello di evitare il diretto riferimento del tabulato al senatore della Repubblica Giuseppe Pisanu, nella richiesta che andava autorizzata al Parlamento”.
GENCHI oggi dichiara: “Ho sempre avuto fiducia nella giustizia e nelle istituzioni dello Stato. Oggi la mia fiducia viene ripagata da un uomo dello Stato che ha anteposto la verità alle logiche della politica, al contrario di come hanno fatto altri politici che ancora vorrebbero far credere di rappresentare l’alternativa a Silvio Berlusconi”.
“Una vicenda d’enorme rilievo per le istituzioni democratiche”, commentò Francesco Rutelli, all’epoca presidente del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza), che definì l’attività di Genchi “un vero e proprio pedinamento elettronico sistematico”.
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