sabato 28 maggio 2011

«Cambieremo questo Stato: voglio spostare anche il Colle»

«La Lega è un movimento riformatore. Nasce per cambiare questo Stato. Non ci si può chiedere di essere qualcosa di diverso». E il ministro Roberto Calderoli al trasferimento dei ministeri da Roma ci crede con tutta l'anima: «È un tassello importante del nuovo rapporto tra Stato e cittadini che noi vogliamo».

Ministro, però lei è il Semplificatore. Non crede che questa vicenda tutto abbia fatto tranne che semplificare i rapporti con gli alleati? Era indispensabile lanciare il trasferimento in campagna elettorale?
«Per chi non vuole i cambiamenti, non è mai il momento giusto. E poi, in questo caso, sono stati i giornali e le televisioni: noi ne parliamo dall'estate scorsa. Sono i poteri morti che decidono quando è il momento di valorizzare una notizia».

Suvvia, Calderoli. Una bella spintarella l'avete data anche voi nel «valorizzare» la notizia proprio ora. O no?
«I tempi sono importanti, una questione lanciata nel momento sbagliato si arena. La Lega ha sempre fatto così: per le sue battaglie ha sempre scelto i momenti in cui era più difficile che si potessero lasciar cadere. Poi, abbiamo anche avuto la fortuna di avere gli Alemanno e le Polverini che hanno molto contribuito al successo mediatico... Ma se qualcuno pensa che noi lasceremo cadere, sbaglia di grosso: aggiungo che il trasferimento sarà uno dei punti qualificanti del programma su cui stringeremo le nostre prossime alleanze».

C'è chi dice che sia un tema che non sposta un voto. Perché per voi è tanto importante?
«Perché non è, come ha detto qualcuno, uno spostare le bandierine. È cambiare tutto. Primo, noi siamo convinti che un ministero debba essere alimentato dalle vocazioni territoriali. Poi, ci sono gli aspetti concreti: il lavoro, l'indotto, la movimentazione dell'economia. Io capisco l'arrabbiatura di Alemanno e Polverini: loro sanno bene quali sono i vantaggi che vengono da un ministero, a differenza di Formigoni. Ma non c'è solo la bistecca, il vantaggio immediato. La cosa più importante è che i ministeri cambierebbero modo di lavorare».

Basta cambiare città?
«Certo. In un ministero, il ministro conta solo per i primi due mesi. Perché gli danno il contentino, fanno i collaborativi... Dopo, il ministro scompare e il ministero diventa tutto. Lei pensi che io sto chiudendo il mio...».

Ma che dice? Chiude il ministero alla Semplificazione?
«Eccome. Tecnicamente, non è un ministero. Si chiama unità di missione e ha sede in San Lorenzo in Lucina. Ma, appunto, per non subire condizionamenti, lo sto chiudendo. Il fatto che i ministeri siano sempre nello stesso posto fa sì che i grandi burocrati siano sempre gli stessi: un anno in un ministero, un anno nell'altro... la maggiore resistenza ad ogni cambiamento viene da lì. Impedisce l'accesso ad energie fresche e si limita ad autoperpetuarsi».

E dunque, la battaglia per i ministeri come procederà?
«Abbiamo deciso con il presidente del Consiglio di partire con lo spostamento di alcuni dipartimenti. Quelli senza portafoglio, dato che non hanno bisogno di una legge. Noi avevamo chiesto Riforme e Semplificazione, e Berlusconi correttamente ci ha chiesto di aggiungerne anche uno al Sud. Si pensa alle Pari opportunità della Carfagna: una materia che è più necessario trattare nel Mezzogiorno».

Perdoni, ma questi ministeri sembrano più un fatto simbolico che qualcosa di sostanziale.
«Lo sono, un fatto simbolico. Ma abbiamo l'impegno di Berlusconi - che finora non ha mai mancato alla parola data - che dopo i ballottaggi affronteremo il tema più generale. Il 6 giugno, poi, presenteremo in Cassazione un progetto di legge di iniziativa popolare. Mentre la discussione su quali ministeri spostare e dove si farà con tutti. Sono certo che i governatori e i sindaci delle grandi città saranno dalla nostra parte. Ripeto, noi abbiamo assoluta volontà di andare avanti. E non è uno scherzo. Si ricorda che cosa dicevano i coloni americani, niente tassazione senza rappresentatività? Noi potremmo cambiarlo così: no representation? No taxation».

Che fa Calderoli, torna a minacciare la rivolta fiscale?
«A buon intenditor... Le posso anche anticipare che nella prossima manovra noi cominceremo a tagliare anche quei sancta sanctorum fin qui mai toccati, dalla presidenza della Repubblica a tutti gli organi costituzionali».

Molti nemici, molto onore... Ma adesso ce l'avete anche con il Quirinale?
«No. Ma io voglio spostare anche da Roma la presidenza della Repubblica».

Va bene, Calderoli, forse state fuggendo un po' in avanti...
«Ma no. Sui tagli, penso che in un momento di crisi debbano riguardare tutti, non è pensabile che ci sia chi è escluso per definizione».

Si dice che la Lega voglia cambiare la legge elettorale e per farlo stia trattando anche con l'opposizione.
«Questo è un tema che divide i furbetti da chi lavora davvero per il Paese. È ovvio che noi stiamo trattando con tutti, lo facciamo da sempre. Ma quello che a tutti diciamo, maggioranza e opposizione, è che bisogna far ripartire le riforme: riduzione del numero dei parlamentari e superamento del bicameralismo perfetto per avere una Camera legislativa e una Camera dei territori. Si può fare in questa legislatura e, una volta arrivati a quello, il cambiare la legge elettorale diventa obbligatorio. Ma quelli che vogliono partire dall'ultimo punto sono i furbetti».

E Bersani è un furbetto o lavora per il Paese?
«Vedremo. Se è in buona fede, accetterà la mia proposta. Se invece il Pd pensa di partire dalla legge elettorale, vorrà dire che pensa soltanto agli interessi di bottega. E anche che ha paura di perdere».

Marco Cremonesi
27 maggio 2011

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