Sarebbe stato questo 'Mister x' a passargli diversi documenti di suo padre da consegnare ai magistrasti. Tra questi, anche il 'pizzino' falsificato con il nome dell'ex capo della polizia, Gianni De Gennaro, per cui il figlio di Don Vito è stato arrestato
Il ‘puparo’ di Massimo Ciancimino sarebbe l’autista di un generale dei carabinieri, vicino a suo padre, l’ex sindaco di Palermo don Vito. Così il testimone della trattativa tra Stato e mafia, durante l’udienza del processo al generale dei carabinieri Mario Mori, risponde alle domande dei pm su chi gli avesse passato carte e informazioni da aprile 2010 al febbraio di quest’anno. L’ uomo “si è presentato come autista del generale dei carabinieri Paolantoni – racconta Ciancimino ai pm – una persona che conoscevo bene, vicina a mio padre, veniva spesso a casa mia”. Un carabiniere lui stesso, secondo Ciancimino: “Mi diede pure un biglietto da visita”, racconta. Un incontro a Palermo e poi altri tre a Bologna. In cui il ‘puparo’, che lui chiama ‘Mister x’ e che non voleva apparire, avrebbe consegnato a Ciancimino documenti importanti, manoscritti del padre. “Ogni volta mi diceva di darli all’autorità, ai magistrati e così io facevo”, aggiunge il testimone. Parte di questa documentazione, spiega, serviva a “dimostrare la persecuzione giudiziaria che attuavano Giovanni Falcone e Gianni De Gennaro. Mi disse che la vittime della trattativa erano state mio padre e il generale Mori e che la trattativa era stata orchestrata da altri personaggi come Amato e Mancino”. Ad essere coinvolto sarebbe stato anche in altro esponente delle forze dell’ordine, il generale Subranni. Secondo don Vito, racconta Ciancimino, il militare era ‘inquadrato’. “Per lui inquadrato voleva dire manovrabile”, spiega il figlio.
Il ‘puparo’ avrebbe anche suggerito al testimone di non parlare più di Mori, “una vittima della trattativa come tuo padre”, racconta Ciancimino. Tra le carte promesse dal presunto autista anche una lettera autografa dell’ex capo della Polizia, Gianni De Gennaro, indirizzata a don Vito e con lo scopo di delegittimarlo. E un’altra missiva – mostrata dal testimone in aula – scritta dal padre e rivolta all’allora governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio. ‘Mister x’ lo avrebbe anche avvertito di un attentato che si stava organizzando contro di lui, “per farmi fuori in modo esemplare”, spiega. Dopo questo episodio, Ciancimino avrebbe ricevuto la dinamite ritrovata dai carabinieri e segnalata da lui durante un interrogatorio. Insieme a una minaccia nei confronti del figlio e una richiesta di soldi dal boss Matteo Messina Denaro. Una presunta intimidazione mai denunciata perché, spiega: “Il prefetto Caruso aveva chiesto la revoca della mia scorta e io ero convinto che ogni mia denuncia sarebbe stata interpretata come una scusa per farmela mantenere”. E sempre per una questione di credibilità Ciancimino racconta di non aver riferito dell’esistenza del ‘puparo’ e di non aver consegnato tutti i documenti che lui gli aveva consegnato.
Massimo Ciancimino ha poi confermato al pm Nino Di Matteo che la scelta di Nicolò Amato come legale di don Vito sarebbe stato un suggerimento dei carabinieri. In particolare, il generale Mori e il capitano Giuseppe De Donno. Sarebbe stato lo stesso Ciancimino jr a contattare l’avvocato. “Lui non fu per nulla sorpreso, mi disse che era già stato allertato ma non da chi”, spiega. E a proposito di legali, Ciancimino racconta anche di quando suo padre venne contattato dai difensori di Riina e Graviano, “che gli avevano detto di dire la verità, che Riina era stato venduto, ma mio padre non volle”, spiega. In un documento scritto da don Vito – e mostrato dai pm al testimone -, l’ex sindaco di Palermo avrebbe scritto: “Su questa circostanza sia Mori che De Donno hanno reso falsa testimonianza al processo di Firenze. Volevano che io intervenissi al processo per sbugiardare Mori e De Donno”. Ma si avvalse della facoltà di non rispondere anche perché, aggiunge adesso Ciancimino jr: “Quando chiamarono mio padre a testimoniare eravamo sorpresi. Uno dei patti con De Donno era che non saremmo stati chiamati mai a testimoniare nei processi, né io né mio padre”,
Tra i documenti esaminati in aula dai pm, anche la fotocopia – risultata poi falsificata – che Massimo Ciancimino aveva presentato ai magistrati e per cui è stato arrestato per calunnia aggravata nei confronti dell’ex capo della polizia, Gianni De Gennaro. “Non ho scritto io il nome di De Gennaro accanto agli altri della lista”, ha spiegato il testimone. Il pm contesta la sua versione al momento della consegna del documento, a luglio, quando Ciancimino raccontò di aver visto il padre scrivere il nome dell’ex capo della polizia collegato a una sigla cerchiata che avrebbe dovuto indicare il ‘Signor Franco‘, l’altro personaggio misterioso di cui neanche il testimone conoscerebbe l’identità. “Quando ‘mister x’ mi diede la fotocopia mi convinsi che doveva essere così – spiega -, del resto mio padre mi aveva detto che il signor Franco era collegato a De Gennaro”.
Un passaggio infine Massimo Ciancimino lo ha dedicato al ritrovamento nella sua abitazione dell’archivio del padre, trovato sabato dalla Dia, sempre su indicazione dello stesso testimone. I fascicoli, partiti dalla camera da letto di don Vito a Roma, sarebbero passati da una cassetta di sicurezza in Liechtenstein e poi a Palermo. Nell’archivio ci sarebbero anche dei documenti ribattuti a macchina da Ciancimino jr su indicazione del padre. “Mio padre aveva due macchine da scrivere, una delle quali la usava solo per la corrispondenza per Bernardo Provenzano – spiega -. Forse fu proprio il boss a regalargliela. Le due macchine da scrivere non furono mai sequestrate e non so che fine abbiano fatto”.
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