sabato 21 maggio 2011

Dichiarazioni di impunità

BRUNO TINTI

È tempo di dichiarazione dei redditi. E uno si consola pensando che è un dovere costituzionale. Articolo 53: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Poi arriva l’Associazione art. 53 (una benemerita iniziativa di alcuni cittadini molto professionali e specializzati) e ti rovina la festa. Mi hanno mandato i dati Irpef del Dipartimento delle Finanze relativi alle dichiarazioni 2010 (redditi 2009). In Italia pagano le tasse 41.523.054 contribuenti. Di questi, 20.870.919 sono lavoratori dipendenti e 15.292.361 pensionati. Tutti gli altri (professionisti, artigiani, commercianti, imprenditori etc) sono 5.359.774.

Di per sé, che le imposte siano pagate, per l’88 %, da dipendenti e pensionati potrebbe non essere drammatico: tutto sta a vedere quanto paga il restante 12%. Qui arriva la sorpresa. Nel 2010 il gettito Irpef è stato pari a 146,5 miliardi di euro. Il 93% di questa somma l’hanno pagato i dipendenti e i pensionati (rispettivamente 89,5 e 47,7 miliardi). Gli “altri” hanno pagato 9,2 miliardi. Non c’è da arrabbiarsi? Non è evidente che questa situazione dimostra che il nostro sistema semplicemente non è in grado di controllare gli impianti contabili e le dichiarazioni di nessuno e che, quindi, non è in grado di far pagare le imposte a nessuno, salvo che a quelli cui può prelevarle alla fonte?

Altra volta ho scritto del perverso sistema “accertamento tributario quinquennale-condoni” che è strutturato in modo da garantire l’impunità fiscale. I dati che l’Associazione art. 53 mi ha mandato dimostrano che è anche garantita l’impunità penale.

Dovete sapere che frode fiscale, dichiarazione infedele e omessa dichiarazione sono punite dalla legge 74/2000 (che ho scritto io, pensate un po’). Poi il Parlamento ci ha messo le mani. Di tutte le schifezze perpetrate, ecco qui la peggiore. Per essere condannati bisogna avere evaso un’imposta superiore a 77.468 euro (frode fiscale e omessa dichiarazione) o 103.291 euro (dichiarazione infedele); se è inferiore, niente processo penale, incensurati a vita (per dirla con B). Imposte di questo livello presuppongono redditi pari almeno al doppio: le aliquote d’imposta, in questi casi, vanno dal 40 al 50%. Quindi, chi ha evaso un’imposta di 77.000 euro ha fatto un “nero” di almeno 140.000 euro; e chi ha evaso un’imposta di 103.000 euro ne ha fatto uno pari almeno a 206.000 euro.

Secondo i dati del Dipartimento delle Entrate i contribuenti che hanno dichiarato redditi superiori a 140.000 euro sono stati 394.327, così suddivisi: 250.959 hanno conseguito redditi da 100.000 a 150.000 euro; 71.379, redditi da 150.000 a 200.000; 71.989, redditi oltre i 200.000 euro. Insomma la legge penale tributaria italiana si può applicare, in concreto, a meno di 400 mila cittadini; in realtà probabilmente a meno di 200 mila perché la prima categoria (100.000 – 150.000 euro) in gran parte non raggiunge la soglia di punibilità prevista.

Non credo che qualcuno possa pensare seriamente che questa situazione è casuale. Anche se lo fosse stata all’inizio, non ci voleva un genio della finanza per capire come stavano le cose. E non averle cambiate dimostra che esiste una trattativa bis, per dirla con l’attualità. Evasori, voi siete tanti; votateci e noi vi garantiamo che non sarete disturbati. Dimenticavo: anche qui senza distinzioni, destra e sinistra alleate nei voti di scambio.

Il Fatto Quotidiano, 20 maggio 2011

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