giovedì 19 maggio 2011

Il regime nella testa

di Marco Travaglio

Immancabilmente, come a ogni sconfitta del centrodestra, tocca sorbirci sul Pompiere della Sera l’ennesimo remake dell’articolo che Pigi Battista scrive da 17 anni: quello sull’inesistenza del regime mediatico e sull’ininfluenza del conflitto d’interessi e del monopolio televisivo del presidente del Consiglio.

Il ragionamento, si fa per dire, è questo: siccome talvolta B. perde e la sinistra vince, non è vero che le sue tv (praticamente tutte) spostino voti e alterino la regolarità delle elezioni. Sarebbe come dire che, siccome una volta nella storia Davide sconfisse Golia, quella tra Davide e Golia è una battaglia ad armi pari. Una scemenza col botto.

Battista invita la sinistra a “credere nella democrazia” e a piantarla col “vittimismo che l’ha percorsa e devastata in questi anni”, cioè con “l’idea che le sconfitte fossero originate da un tenebroso Regime che aveva avvelenato le coscienze, abolito la libertà, rovesciato l’ordine costituzionale”.

È il vecchio trucchetto polemico di esagerare la posizione dell’avversario per ridicolizzarla meglio: nessuno ha mai sostenuto che sia stata abolita la libertà o rovesciato l’ordine costituzionale, ma che le libertà sono state progressivamente ridotte e la Costituzione violata in più punti. Ma per Battista basta che Pisapia vada al ballottaggio a Milano e il Pd vinca nelle rosse Torino e Bologna per intimare a Barbara Spinelli, Franco Cordero, Dario Fo e altri putribondi sostenitori del regime di cospargersi il capo di cenere e dare ragione a lui. Ora, il regime mediatico è stato denunciato anche sul Corriere da Montanelli, Biagi e Sartori, ma furbescamente Battista non li cita, preferendo spacciare la teoria del regime per una roba “di sinistra”, mentre è di provenienza purissimamente liberale.

Alla luce del primo turno elettorale a Milano, lo spiritoso Pigi osserva che “l’emergenza democratica è un po’ meno emergenza di prima” perché “se si dice che le elezioni in Italia sono costitutivamente truccate per via del conflitto d’interessi di Berlusconi, bisogna spiegare come mai talvolta il trucco viene svelato e talvolta no”. Insomma “l’Italia resta una democrazia normale, dove si vince e si perde” liberamente.

Forse gli sfuggono alcuni dettagli.

Nel marzo ‘94 B. vinse le sue prime elezioni con un partito concepito un anno e mezzo prima e raffazzonato in 6-8 mesi, con una maggioranza talmente risicata da costringerlo, per ottenere la fiducia in Senato, ad acquistare alcuni “responsabili” ante litteram eletti con l’opposizione. Secondo Mannheimer, sondaggista del Corriere, le tv spostano dal 4 al 6% dei voti: dunque è ragionevole pensare che, senza le reti Fininvest, B. avrebbe perso le sue prime elezioni, dunque non sarebbe andato al governo nel ’94 e non avrebbe potuto porre le basi del suo quasi ventennale potere. Non in virtù di un esproprio proletario, ma di una legge dello Stato, la 361/1957, che lo rende ineleggibile in quanto concessionario pubblico e lo costringe a scegliere: o la politica, o le tv.

Da allora, per cinque legislature, la giunta delle elezioni della Camera l’ha dichiarato illegalmente eleggibile, violando una legge tutt’oggi in vigore. Basterebbe questa quisquilia a dimostrare che tutte le elezioni cui ha partecipato B. erano truccate: quando vinceva, avrebbe perso; e, quando perdeva, avrebbe perso molto di più.

Il che non esime il centrosinistra dal fare i conti con i propri madornali errori, che comunque non sarebbero mai stati sufficienti a tributare a B. tre vittorie su cinque, visto che – calcoli di Luca Ricolfi, non di Che Guevara – il suo partito non ha mai superato il 20% del corpo elettorale e la sua coalizione di centrodestra il 30. Visto che è così spiritoso, Battista potrebbe citare almeno un’altra democrazia in cui il leader di uno dei due schieramenti politici controlla cinque tv su sei e stipendia migliaia di giornalisti, scrittori e intellettuali. Tra i quali, per un certo periodo, un vicedirettore di Panorama diretto da Giuliano Ferrara: un certo Pigi Battista.

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