domenica 15 maggio 2011

Una rete neurale per studiare la schizofrenia


ROSALBA MICELI

L’approccio computazionale delle reti neurali (modello matematico-informatico di calcolo basato sulle reti neurali biologiche) viene utilizzato per simulare relazioni complesse tra ingressi e uscite che altre funzioni analitiche non riescono a rappresentare. Il network di neuroni artificiali può costituire un valido modello per lo studio dei meccanismi alla base di alcune patologie psichiatriche, permettendo di valutare come si modifica il comportamento di un “paziente computazionale” al variare di alcuni parametri funzionali. Una rete neurale che simula alcuni aspetti del comportamento di un soggetto schizofrenico è stata realizzata da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Computer Science dell’Università del Texas e del Dipartimento di Psichiatria della Yale University, che ne danno notizia sulla rivista Biological Psychiatry.

In letteratura diverse disfunzioni che riguardano la memoria di lavoro, la semantica del linguaggio e la neuromodulazione dopaminergica sono state messe in relazione con il linguaggio disorganizzato e delirante che caratterizza le forme più severe di schizofrenia. L’ipotesi dopaminergica della schizofrenia si è sviluppata a partire dalla seconda metà degli anni ’70, quando le tecniche autoradiografiche prima e di brain imaging poi hanno permesso di osservare come le condizioni che aumentano la dopamina sono associate a sintomi psicotici positivi, mentre i farmaci che riducono la trasmissione dopaminergica, riducono o bloccano la sintomatologia produttiva. “La nostra ipotesi è che la dopamina sia implicata nell’attribuzione di importanza a un’esperienza - spiega Uli Grasemann, del Dipartimento di Computer Science dell’Università del Texas - in presenza di un eccesso di dopamina, viene attribuita una salienza eccessiva a un evento e il cervello finisce con l’apprendere cose che non dovrebbe apprendere”.

La rete neurale utilizzata da Uli Grasemann e dal suo collaboratore Risto Miikkulainen, chiamata DISCERN, è in grado di apprendere il linguaggio naturale. Il sistema, dopo un periodo di addestramento, riesce ad assimilare e ricordare parole, frasi e racconti in modo più o meno simile al cervello umano. In questo studio DISCERN ha appreso alcuni racconti autobiografici ed impersonali di episodi criminali (delitti, attentati) con forte valenza emotiva. In aggiunta, i ricercatori hanno sottoposto ad un compito analogo un gruppo di soggetti sani ed un altro gruppo di pazienti con schizofrenia e disturbo schizoaffettivo.

Si è voluto verificare cosa accade al linguaggio simulando in DISCERN otto disfunzioni neurologiche. Tra queste, è stata simulata una condizione di iperapprendimento mediata da un eccesso di dopamina nel cervello. Mettendo a confronto i risultati ottenuti, è stato osservato che il meccanismo di iperapprendimento era statisticamente superiore agli altri nel generare il profilo narrativo (riguardo alle informazioni memorizzate in precedenza) tipico dei pazienti schizofrenici. In seguito al training, il paziente computazionale ha creato racconti deliranti che mettevano insieme in modo incoerente frammenti delle storie apprese, con continui passaggi dalla prima alla terza persona; in un caso, il sistema ha addirittura rivendicato la paternità di un attentato terroristico.

Il risultato dell’esperimento darebbe supporto all’ipotesi dell’iper-apprendimento come meccanismo alla base della disorganizzazione narrativa e delirante dei pazienti schizofrenici: i soggetti perderebbero la capacità di dimenticare o ignorare dati irrilevanti, non riuscendo a selezionare ed estrarre gli elementi significativi tra l’infinità di stimoli che il cervello riceve continuamente ed, in ultima analisi, a organizzare i significati in un qualunque tipo di storia coerente. Se tale ipotesi verrà confermata da ulteriori studi clinici, i pazienti computazionali potranno essere usati per testare nuovi e più efficaci protocolli terapeutici.

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