martedì 14 giugno 2011

Adesso il Cavaliere si arrocca nel bunker

AMEDEO LA MATTINA

La conferenza stampa con Netanyahu era andata perfettamente, con un Berlusconi che volava alto. Uno statista. Poi, proprio alla fine, ha spiegato al suo ospite che quella alle loro spalle è la riproduzione di un dipinto di Andrea Appiani che raffigura il Parnaso: «E’ il bunga bunga del 1811, quello sono io e l’altro che suona è Apicella...». Il premier rideva, ma in prima fila i ministri non ridevano. Il responsabile della Farnesina si è fatto subito scuro. Queste scivolate fanno male e preoccupano. Sono in molti a pensare che la situazione sia difficilmente recuperabile. E che non recuperabile sia lo stesso Berlusconi, che dopo l’incontro con Netanyahu è andato a comprare regalini in bigiotteria: servono per le sue ragazze?

Poi si è chiuso a Palazzo Grazioli e non c’è stata la solita processione di notabili di partito che accorrono dal premier per analizzare i dati elettorali e avere direttive. Neanche a margine del vertice a Villa Madama Berlusconi ha fatto cenno allo tsunami referendario. Del resto, il secondo gancio in faccia dopo quello della amministrative il Cavaliere se lo aspettava, ma non di queste proporzioni, con una vetta di 57 per cento costruita in buona parte dagli stessi elettori del centrodestra. Voti in libera uscita, temono nello stato maggiore del Pdl, che sarà difficile far rientrare dentro il vecchio perimetro.

Voti, spiegano gli stessi ambienti berlusconiani, che sono il frutto di «un’isteria anti-politica che non guarda in faccia più a nessuno, per questo l’opposizione non deve cantare vittoria». Anche la Lega non può prendere il cappello e staccare la spina. E’ l’unica magra consolazione del presidente del Consiglio per il quale «la sberla l’abbiamo preso insieme». «Bossi non può recriminare, non può imputarci la sconfitta. Siamo nella stessa barca. Sono sicuro che continueremo a governare insieme e Pontida non sarà il giorno del giudizio universale. Sia chiaro - dice Berlusconi - che io non butto la spugna».

In questo modo il premier si arrocca dentro il Palazzo dove può sperare di avere ancora una maggioranza che, comunque, dovrà essere tutta verificata se il 22 giugno alla Camera verrà presentata una mozione di sfiducia. Intanto, come prima mossa il premier ha scritto una nota sui risultati referendari che a prima vista sembrava scritta da Gianni Letta per i toni morbidi usati. Invece è stata scritta nel bunker di Palazzo Grazioli dallo stesso leader del Pdl che riconosce la voglia di partecipazione dei cittadini («non può essere ignorata»). Governo e Parlamento in ascolto: «Ora hanno il dovere di accogliere pienamente il responso dei quattro referendum». Un cambio di passo comunicativo, parole da colomba che poco si addicono a Berlusconi. Anche perché aveva detto agli italiani di non andare a votare e la reazione è stata opposta. Come se qualunque cosa dica avesse un effetto di rigetto che riguarda proprio lui. L’altro ieri sera, ad urne ancora aperte, Bossi è arrivato a sostenere che «Berlusconi ha perso la capacità di comunicare in televisione».

E’ come se qualcuno dicesse al pallone d’oro Leo Messi del Barcellona di non essere più capace di fare gol. Ecco perché si fanno sempre insistenti le voci secondo cui Bossi si prepara a chiedere al premier di impegnarsi ad un passo indietro, a dire che non sarà più lui il candidato alla premiership. Il Senatùr potrà dirglielo. La stessa cosa non possono fare i colonnelli e i generali del Pdl, che però ne parlano in continuazione. «Ma neanche Bossi - è stato il commento risentito del premier - è più capace di tenere a bada il suo partito e raccogliere i voti che perde il Pdl».

Tra l’altro le maggiori percentuali di votanti, fanno notare i berlusconiani, si sono registrate al Nord. Per non parlare poi del fatto che il governatore del Veneto Luca Zaia ha pubblicizzato ai quattro venti la sua intenzione di recarsi alle urne e votare per il Sì. Insomma, la Lega non faccia la parte della vittima e si renda conto che «il voto emotivo» dell’11 e del 12 giugno è qualcosa che mette tutti in gioco. E la si finisca di fare da sponda a Tremonti, che ora deve mettere la testa alla riforma del fisco. No, Berlusconi non getta la spugna, anche se ora rischia di sembrare più un uomo asserragliato nel Palazzo dove può sperare di galleggiare con la sua maggioranza. E ciò mentre fuori il mondo è cambiato.

Calma e gesso, ripete Berlusconi, ma nel suo partito non vedono una via d’uscita. Lanciare in campo il giovane Alfano per il momento non è servito a molto, anche se il ministro della Giustizia non ha avuto il tempo di carburare, di mettersi a lavorare come segretario del partito. In Parlamento ogni passo è un pericolo, come se fosse un campo minato. Ieri in commissione Finanze della Camera la maggioranza si è trovata senza numeri, ed è stata costretta a chiedere il rinvio del voto sugli emendamenti al decreto sviluppo. Oggi il Consiglio dei ministri è stato convocato per mettere la fiducia su questo decreto.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Ehi! Il Cavaliere si tocca! Troppo tardi!