giovedì 16 giugno 2011

ANTONIO DI PIETRO

Ieri da Tunisi il ministro Romani ha rassicurato gli italiani preoccupatissimi per gli intoppi delle ennesime nomine lottizzate in Rai. Ha detto che non c’è nessuno stallo e che la soluzione arriverà “a breve”.
Solo che su quelle nomine il ministro
Romani non dovrebbe averci niente a che vedere e non dovrebbe saperne niente. Come non doveva averci niente a che vedere sulla nomina del direttore generale la sottosegretaria Daniela Santanché che invece raccontava agli amici con largo anticipo sulla nomina che su quella poltrona ci sarebbe andata Lorenza Lei.
Non sono nato ieri e so benissimo che la lottizzazione non è cominciata con Berlusconi. Il fatto che i politici considerino l’azienda radiotelevisiva pubblica cosa loro è uno dei tanti vizi della prima repubblica che abbiamo ereditato e invece che sanati sono stati persino peggiorati.
Però è ora di dire che tutti i problemi del servizio pubblico nascono proprio da questo che non è un vizietto scusabile ma un peccato mortale. E’ grazie a questa logica che siamo potuti arrivare all’assurdità unica al mondo di un’azienda che prima si dà la zappa sui piedi chiudendo il suo programma di maggior successo per compiacere il presidente del consiglio e poi, per rimediare al danno economico che si è inflitta da sola, medita di aumentare il canone facendo così pagare il prezzo delle sue follie ai cittadini e ai consumatori.
Se vogliamo salvare il servizio pubblico dobbiamo cambiare radicalmente strada. I partiti, tutti i partiti, devono tirare giù le mani dalla Rai che deve essere un’azienda e un servizio pubblico, non la proprietà privata dei politici e di chi si trova al governo. Per questo l’Italia dei valori non ha mai partecipato a nessuna lottizzazione, non ha mai chiesto un posto o un incarico e mai lo farà.
Per questo quando si tratterà di ricostruire l’Italia dalle macerie del berlusconismo sarà fondamentale stabilire che d’ora in poi le nomine in rai devono essere decise sulla base della professionalità, della capacità e degli interessi dell’azienda e del servizio pubblico non su quella della fedeltà a un partito. E per essere sicuri che le cose vadano davvero così e che non ci ritroviamo più nel disastro a cui siamo arrivati oggi, in quelle nomine i partiti dovranno davvero non aver più voce in capitolo.

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