lunedì 6 giugno 2011

I blog sono stampa clandestina? Non è vero


L’oscuramento del sito “Accade in Sicilia” curato dallo storico Carlo Ruta dimostra che ciò che conta nell’informazione è la sostanza e non la forma. E se un blog si comporta come una testata giornalistica deve essere registrato. Altro che sconfitta: è un meritato riconoscimento professionale per Carlo Ruta

Nelle scorse settimane la Corte d’appello di Catania ha confermato la sentenza del tribunale di Modica che nel maggio 2008 condannò Carlo Ruta, storico siciliano, a 150 euro di ammenda e all’oscuramento del suo sito “Accade in Sicilia” considerandolo stampa clandestina. La vicenda merita un approfondimento e, come sempre, un po’ di informazione.

Anzitutto è falso che la sentenza abbia equiparato i blog alla stampa e, in un tentativo di “mettere il bavaglio” alla libertà di espressione in omaggio a chissà quali complotti pretendano che i blog siano registrati proprio come una testata giornalistica.
E’ vero esattamente il contrario: il blog di Carlo Ruta, pregevole esempio di informazione, rientra, di fatto, nella categoria delle testate giornalistiche e, come tale, dicono i giudici, non può che registrarsi e avere un direttore responsabile. Altro che sconfitta e rischio di bavaglio: è un meritato riconoscimento professionale per Carlo Ruta.
Dove sta scritto che registrarsi e avere un direttore responsabile equivalga a non poter manifestare liberamente il proprio pensiero?
Basta leggere la sentenza del 2008, che alleghiamo a questo articolo e che è stata confermata in appello, per capire di cosa stiamo parlando.

La libertà d’espressione
Purtroppo – o per fortuna: io dico per fortuna – nel nostro Paese, che ha un sistema giuridico complesso e tutto codificato, la libertà d’espressione è una categoria che comprende due specie di libertà diverse: la libertà di dire ciò che si ritiene, ossia la libertà di parola (salvo a risponderne in caso di ingiurie, calunnie o diffamazioni) e la libertà di scrivere ciò che si vuole (alle stesse condizioni, ossia assumendosi le responsabilità conseguenti, nel bene e nel male).
Mentre la libertà di parola è... (scusate il bisticcio di parole) libera, cioè non deve rispettare determinate forme, la libertà di scrivere è, per così dire, incanalata, regolamentata, dalla legge sulla stampa o dalle norme sull’editoria.
Che piaccia o no, questo è il dato giuridico di partenza. Se non piace, allora la battaglia va fatta contro la legge e non contro la sua applicazione.
Mi spiego: sul piano della filosofia del diritto, si è ritenuto, fin dalla rifondazione del corpus giuridico post-monarchia (e post regime fascista), che mentre la libertà di parola può essere esercitata più... liberamente (perché, come si dice, verba volant), la libertà di scrittura ha bisogno, allo stesso tempo, da un lato di maggiori garanzie e dall’altro di maggiore attenzione (sempre per restare alle citazioni popolari: ne uccide più la penna che la spada).

L’ufficialità di chi scrive
Si è deciso allora, e fino all’avvento di internet questa decisione non ha mai rappresentato un problema, che chi scrive deve essere, per così dire, ufficializzato. Questa ufficializzazione, questa “istituzionalizzazione”, passa per la registrazione in un “libro” depositato nei tribunali di tutto il Paese. Dove gli editori, ossia coloro che fanno da tramite fra chi scrive e chi legge, devono essere registrati. Qualunque specie di editori: da quelli che pubblicano bollettini d’informazione agli editori dei giornali (quotidiani o periodici, dove la periodicità può anche essere una volta all’anno: ricordiamolo questo dettaglio perché sarà utile più avanti), passando per gli editori librari. Addirittura chi pubblica libri è ancora oggi obbligato, ad ogni pubblicazione, a mandarne tre copie alle Prefetture che, non dimentichiamolo, sono gli uffici del Governo sul territorio.
Si potrebbe agevolmente sostenere che si tratta di un retaggio liberticida, fascista, di un modo per controllare ciò che viene scritto, ma intanto è così. In realtà, come è ovvio, la previsione ha assunto un valore semplicemente burocratico: nessuno si sognerebbe di leggere davvero una di quelle tre copie e di intervenire per bloccarne la diffusione ulteriore.
Ciò che conta, in questi casi, non è ciò che accade in realtà, ma ciò che potenzialmente potrebbe accadere visto che gli strumenti giuridici lo consentirebbero.
E allora bisogna chiedersi:
perché? (“perché” è la domanda più semplice in assoluto, quella che si fanno i bambini già a due anni, ma che però troppo spesso viene sottovalutata).
Se si leggono le analisi di filosofia del diritto relative alle leggi sulla stampa, la stampa di qualunque genere, si trova una risposta a questa domanda.
E, di conseguenza, si trova una risposta anche agli interrogativi suscitati da sentenze come quella che ha “colpito” il blog di Carlo Ruta (che, va detto, non è la prima del genere: non molto tempo fa accadde la stessa cosa al blog dell’Associazione consumatori).

Libertà di espressione: tutela e garanzie
I legislatori (dunque i rappresentanti del popolo, che sul piano giuridico astratto agiscono per conto e nell’interesse di quest’ultimo, e anche questo non dimentichiamolo) hanno ritenuto che fosse opportuno assicurare una maggiore tutela a tutti coloro che potrebbero essere colpiti da un esercizio non corretto della libertà di scrittura.
In particolare si è stabilito, fin dal 1948, che se deve essere garantita a chiunque la possibilità di scrivere ciò che vuole, è vero anche che in considerazione del “peso” che possono avere (e che purtroppo in parte non hanno più) le parole stampate (come si diceva una volta? “Parla come un libro stampato”), è preferibile che la responsabilità connessa a questa libertà venga, per così dire, ripartita tra colui che scrive, l’editore che pubblica e, nel caso della stampa (quotidiana o periodica, via etere o su carta, non c’è differenza), il direttore responsabile che funge da ulteriore garanzia di verifica della correttezza di ciò che viene scritto.
In poche parole: si chiede che chi scrive garantisca una certa dose di professionalità. Ecco perché nel caso della stampa viene inserita una terza figura di garanzia che è il direttore responsabile: perché la stampa, tra le varie forme di divulgazione del pensiero, è quella considerata di maggiore impatto e dunque, potenzialmente, capace – se non correttamente gestita: dove “correttamente” non dovrà mai significare in modo accondiscendente o compiacente ma semplicemente con rispetto della verità e delle libere opinioni giustificate dai fatti e dalla loro connessione – potenzialmente capace, dicevamo, di produrre il maggior danno. E questo valorizzare la scrittura, l’importanza della parola scritta, non può che far piacere (non dovrebbe che far piacere) a chi scrive.
In questo modo, come sempre nei sistemi giuridici codificati, si è pensato di raggiungere quello che sembrava essere il migliore, tra i possibili, bilanciamento di interessi.

Registrazione e non autorizzazione
Perciò da un lato la registrazione della stampa (testata giornalistica o semplicemente editoriale poco importa) non deve essere confusa con un’autorizzazione (la Costituzione precisa, anzi, che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni e il fatto che lo dica la Costituzione fa capire come i nostri legislatori dell’epoca avessero ben chiara l’importanza della materia), di talché chiunque chieda ad un qualunque tribunale di registrarsi come editore non deve temere un diniego, anche se chiedesse di registrare una pubblicazione erotica - purché senza uso di immagini relative a minori o di violenza - o di politica estremista, purché senza istigazione al terrorismo o alla sovversione armata o genericamente violenta, al di fuori del sistema democratico.
Per giunta, viene garantita la possibilità di registrarsi senza oneri eccessivi: attualmente basta costituire una ditta individuale che svolga il ruolo di editore, indicare uno stampatore se si tratta di carta o un provider (tipo Aruba, per esempio) se si tratta di internet, il nome della testata che in questo modo diventa esclusivo e nessun altro potrà utilizzarlo, e un direttore responsabile. Il quale, per la legge sulla stampa, deve essere almeno un pubblicista. Ossia un giornalista non professionista ma iscritto nel registro pubblicisti, al quale si accede dopo due anni e 70 articoli pubblicati e retribuiti almeno 40 euro ad articolo. Il costo complessivo della registrazione, tra tasse e spese di costituzione della ditta individuale con partita Iva (se non esiste già) è inferiore ai 400 euro.
Dobbiamo ammettere che non si tratta di condizioni capestro. Anche se, certo, sarebbe preferibile nessuna condizione. Tuttavia, come abbiamo visto, proprio l’importanza, il rilievo costituzionale del mezzo che ci si accinge ad adoperare, ha suggerito al legislatore l’opportunità di fissare delle condizioni minime che abbiano anche lo scopo di richiamare l’attenzione sulla responsabilità che questa libertà comporta. E’ un po’ come la patente di guida: tutti hanno il diritto di averla a patto però che dimostrino di aver capito come si deve – si dovrebbe – usare.

Il bilanciamento degli interessi
Proprio perché la libertà di scrivere ciò che si pensa è un’arma potente, che può essere usata a difesa della democrazia ma anche, come la storia insegna, contro di essa, si è pensato che sia giusto rispettare delle regole di base per poterla esercitare.
Attenzione: queste regole, se da un lato possono apparire afflittive e limitative, dall’altro – ecco il bilanciamento – offrono anche delle garanzie. La stampa non si può censurare, non si può, appunto, oscurare, come fosse una qualunque vox clamantis in deserto. Deve essere rispettata e per quanto possa essere perseguitata, denunciata, querelata, messa in difficoltà, ma non può mai essere chiusa, zittita (almeno ufficialmente, nel rispetto della legge). Come recita la battuta conclusiva del film “L’ultima minaccia” (Usa, 1952): “E’ la stampa bellezza, e tu non puoi farci niente!”.
La giurisprudenza formatasi sulla base della legge del 1948, spiega che chi esercita “di fatto” un’attività equiparabile a quella della stampa senza aver rispettato le regole di base, venga qualificato come responsabile di stampa clandestina. Che in quanto tale deve essere bloccata.

Stampa clandestina e astrazione della legge
Perché la legge viaggia su binari astratti e guai se non fosse così. Quando non è più così si producono le leggi ad personam. Stampa clandestina può essere un foglio pubblicato da un terrorista che incita alla rivolta armata contro la democrazia, può essere un giornale di propaganda razzista, può essere una rivista che pubblica foto per pedofili. In tutti questi casi gli “editori” di questa stampa non avrebbero comunque potuto registrarsi e quindi godere di quelle garanzie previste per le stampa perché le loro caratteristiche non avrebbero consentito la registrazione. Nessuna attività contro la legge può essere ammessa a godere dei diritti e dei benefici previsti per tutte le altre. Non sarebbe giusto. Per questa stessa ragione anche un contratto che ha come oggetto della prestazione qualcosa di illegale è nullo. Nel senso che fintantoché nessuno si oppone può anche produrre degli effetti ma basta che chiunque segnali l’illiceità dell’oggetto perché la giustizia intervenga a cancellarlo e, se del caso, a punire le parti in causa.

Il caso del blog Accade in Sicilia
A questo punto è più facile esaminare e valutare il caso del blog “Accade in Sicilia” di Carlo Ruta. Un caso che, sul piano suggestivo, lascia indubbiamente perplessi. Ma sul piano giuridico è molto più chiaro.
Sotto la testata del blog si legge: “Giornale di informazione civile”. Già questo è un autogol se non si vogliono rispettare le regole sulla registrazione della stampa.
Intendiamoci, non dico affatto che siano regole giuste. Chi mi conosce sa che sono razionale e coerente fino alla noia: le regole possono anche essere sbagliate, possiamo anche non condividerle, ma se non le condividiamo, e siamo liberi di farlo – anche in questo caso la libertà conta – allora è nostro compito combatterle con gli strumenti giusti. Se invece decidiamo di provare a “forzare il blocco” non possiamo poi lamentarci se il “sistema” reagisce applicandole.
Il paradosso – vale la pena di rifletterci: anche questo è figlio della filosofia del diritto – è che la libertà di agire contro le regole è resa possibile proprio dall’esistenza delle regole: nel Cile di Pinochet, nella Libia di Gheddafi, nella Spagna di Franco, nell’Italia di Mussolini, queste regole erano meno forti o non c’erano affatto e capitava così che perfino chi fosse registrato come editore, stampatore, giornalista, o addirittura avesse le garanzie del deputato, come Giacomo Matteotti, potesse essere zittito anche con la violenza.

Forma e sostanza
In Italia chi di fatto esercita un’attività giornalistica – assolutamente legittima e, come nel caso di Carlo Ruta, meritoria – senza rispettare le regole non viene ucciso o lanciato in mare dagli aerei, ma condannato ad una sanzione di 150 euro e il suo giornale – il suo sito – viene oscurato. Perché, al di fuori di quelle regole, equivale alla stampa clandestina. L’equivalenza è nelle forme, certo, non nei contenuti se vogliamo restare agli esempi di stampa clandestina che abbiamo citato prima. Ma nel nostro diritto, un diritto codificato e dunque formale, la forma è anche – sebbene non solo – sostanza. Nell’Antigone, la tragedia di Sofocle, viene esemplificato in modo sublime il concetto di forma e sostanza: Antigone decide di sfidare il re, Creonte, e dare degna sepoltura al fratello, Polinice che, in quanto considerato nemico della patria perché, in realtà, aveva provato a cacciare Creonte che era un usurpatore, avrebbe dovuto essere lasciato senza sepoltura fuori dalle mura della città. Mentre seppellisce il fratello, Antigone viene scoperta e processata. Sofocle, che come tutti gli antichi greci aveva in grande considerazione le leggi divine rispetto a quelle umane (e anche perché, diciamo la verità, se avesse fatto finire la storia diversamente nessuno sarebbe andato a teatro), chiude il processo con l’assoluzione di Antigone grazie all’arringa difensiva dell’indovino Tiresia che convince Creonte ricordandogli che l’amore fraterno è sacro agli Dei e una sentenza di condanna di Antigone avrebbe portato solo sciagure sul suo regno. Tanto che il re usurpatore, alla fine, si uccide rivolgendosi così ai servi: “E ora ripulite questo luogo da un buono a nulla”. Insomma, altro che un passo indietro, come dovrebbe fare qualcuno dei nostri contemporanei. Ma per questo quelle di Sofocle erano tragedie. Altrimenti il grande scrittore greco sarebbe finito a fare l’autore di Zelig.
Ai nostri tempi invece, in Italia, un gesto come quello di Antigone – che in ogni caso, sebbene la legge fosse ingiusta in quanto voluta da un tiranno usurpatore come Creonte, quella regola aveva comunque violato – sarebbe stato sì condannato, ma con l’attenuante speciale prevista dal nostro codice penale del “particolare valore morale” del gesto. In pratica: la legge, la regola è stata violata ma per una buona causa. Questo comporta che l’assoluzione piena è impossibile, perché altrimenti la regola negherebbe se stessa, ma una condanna a 3 mesi con il beneficio della sospensione e della non menzione sul casellario giudiziale rappresenta un equo bilanciamento di interessi. Direbbe la saggezza popolare: salva capra e cavoli. E tutto sommato garantisce da un lato il diritto, che in astratto è scudo della democrazia, e dall’altro il... diritto di non rispettarlo quando non risponde ai sentimenti reali, alla morale comune. E’ come se il diritto dicesse: non posso dire che avete fatto bene a ignorarmi, ma ammetto anche io i miei limiti e... ci penserò.

La differenza tra censura e oscuramento
Scusate la digressione. Torniamo a Carlo Ruta e al blog “Accade in Sicilia”. Il blog è stato oscurato. Attenzione: oscurato non vuol dire censurato: la censura lascia in piedi lo strumento obbligandolo a tacere ciò che è scomodo, l’oscuramento significa che lo strumento, indipendentemente da ciò che dice, non rispetta le regole fissate per poterlo dire. Non è una differenza di poco conto. La censura p come un muro di gomma. L’oscuramento è qualcosa di più tangibile contro il quale ci sono dei rimedi. Tanto per cominciare riaprirlo registrandolo come testata giornalistica. Sarebbe il modo migliore per... (scusate se può sembrare greve) metterlo a quel posto a chi si nasconde dietro le regole formali per raggiungere altri obiettivi.
E siamo al punto che, capisco benissimo, suscita le reazioni indignate: la verità è che non c’entra nulla l’amore per le regole e il rispetto delle forme. La verità è che ciò che si diceva dava fastidio a qualcuno.
Sono convinto che sia così. Però ragioniamo: se ciò che si diceva dava fastidio a qualcuno significa che non si trattava di una semplice raccolta di materiali d’archivio già pubblicati altrove. Ma di qualcosa di più. E infatti sul blog c’erano pregevolissime riflessioni, accostamenti, relazioni tra fatti, a cura di Carlo Ruta. A cui va tutta la mia stima.
Perché ciò che fa Carlo Ruta è esattamente ciò che dovrebbe essere informazione: non già un elenco di notizie, come fosse un insaccato, un minestrone. Ma un “percorso ragionato” (come dicono quelli che credono di parlare elegante) tra le notizie. L’informazione è memoria storica, riflessione, collegamenti.
E per quanto riguarda la periodicità dell’aggiornamento, che lo stesso autore ha precisato essere casuale, questo non sposta – in termini di... semantica giuridica – il problema. Un “periodo” non deve essere necessariamente regolare. Il periodo, genericamente, è l’intervallo di tempo che intercorre tra due azioni analoghe. Il periodo è, genericamente, una sequenza e qualunque sequenza può anche essere casuale ma non per questo smette di essere sequenza.

Notizie e informazione
Tra notizie e informazione passa la stessa differenza che c’è fra la tavolozza di colori e il quadro, il pentagramma e la sinfonia, il vocabolario e il libro. Il pittore tira fuori i quadri, potenzialmente infiniti e dalle infinite emozioni, da colori non solo finiti ma anche quantitativamente limitati. Bach tirava fuori le sue composizioni mettendo insieme le stesse sette note che altri adoperano per cantare “tanti auguri a te”. Torquato Tasso ha tirato fuori la Gerusalemme Liberata dallo stesso vocabolario che chiunque di noi può leggere. Ma anche se lo leggessimo per tutta la vita e lo imparassimo magari a memoria, dubito che riusciremmo a scrivere la Gerusalemme Liberata. Come disse Anatole France, “nel vocabolario esistono tutti i libri, passati e futuri”.
Il blog di Carlo Ruta, ad esempio, il suo “Giornale di informazione civile”, riusciva ad essere migliore di tanti altri giornali. Ad esempio quando ha raccontato della figura, assai discutibile, dell’imprenditore siciliano Umberto Carbone, morto suicida, che ha lasciato un testamento video molto imbarazzante per il potentissimo gruppo bancario Antonveneta. Gli articoli, firmati sul blog da Carlo Ruta sono precisi e intelligenti, riescono a non farsi abbagliare dalle presunte notizie e colgono il filo d’Arianna dell’informazione.
Insomma: siccome giornalismo è sostanza prima che forma, ci si trova a dover rispettare le forme previste per la pubblicazione giornalistica. Può sembrare un bizantinismo, ma questa è la conseguenza non di una singola legge o di una singola sentenza, ma della filosofia di tutto il nostro sistema giuridico.

Giornalismo di sostanza e non di forma
Non ho letto le motivazioni delle sentenze di condanna, ma posso immaginarle. Si tratta appunto di articoli. Guai se fosse necessario definire il giornalismo soltanto sulla base dell’iscrizione all’albo di chi scrive. Giornalisti – questa volta conta la sostanza più della forma – sono tutti coloro che fanno informazione. Per converso bisognerebbe cancellare dall’albo dei giornalisti molti soggetti che circolano per le redazioni da una quindicina d’anni a questa parte.
E anche questo concetto è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza. A tutela e garanzia dell’informazione, altro che storie! Ci sono giornalisti che hanno conquistato l’iscrizione all’albo dopo aver lavorato per programmi e pubblicazioni che di giornalistico, ufficialmente, non avevano nulla. Ma i loro ricorsi sono stati accolti: se di fatto il lavoro è giornalistico, è stato scritto, l’Ordine dei giornalisti ha l’obbligo di iscriverli nell’albo, anche in mancanza di un contratto specifico.
Questo significa valorizzazione della professionalità e queste sentenze sono state accolte come una fortissima garanzia del difficile lavoro del giornalista che, prima ancora di essere un impiego con uno stipendio, è un modo di contribuire alla crescita di un popolo e di una democrazia.
E allora: se queste sentenze ci piacciono, non possiamo poi pretendere che di fronte a un’attività giornalistica, peraltro meritevole, quella stessa giustizia faccia finta di nulla, dimentichi le regole che – comunque sia – sono poste a tutela della società ma anche a garanzia della stampa, come abbiamo visto, e lasci correre il fatto che quel “Giornale di informazione civile” non aveva rispettato le banali prescrizioni fissate per la stampa.
Lo so che ora ci sarà qualcuno che mi accuserà di essere un difensore della “casta” dei giornalisti, di voler sottrarre a chi non è giornalista la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero.
Chi dovesse accusarmi di questo dimostrerebbe di non saper leggere: ho detto chiaramente, infatti, che proprio perché tutti possono e devono essere liberi di scrivere ciò che ritengono giusto, è sufficiente – per non offrire un alibi al... nemico – rispettare quelle semplici regole e continuare a fare ciò che si crede giusto.
Fermo restando che libertà non è necessariamente rispettare le regole (proprio come non è star sopra un albero, come non è neanche il volo di un moscone) ma, obbligatoriamente, è assumersi le conseguenze delle proprie scelte. In questo caso la conseguenza, prevedibile, è stata l’oscuramento.
Poco male: “Accade in Sicilia” è un bel nome per una testata giornalistica. Mi auguro che Carlo Ruta la registri (risparmiando i soldi del ricorso in Cassazione che, se la sentenza d’appello fosse motivata bene, come credo, sarebbe giudicato addirittura inammissibile con conseguente condanna al pagamento di duemila euro alla cassa delle ammende) e metta a tacere quei mafiosi dal colletto bianco che hanno approfittato della mancanza di forma per colpire la sostanza.

La condanna
Vi invito però a non prendervela troppo con i giudici (almeno in questo caso): la sentenza dimostra che non avevano cattive intenzioni. L’articolo 16 della legge sulla stampa (la legge 47 del 1948) stabilisce che i responsabili di stampa clandestina possono essere puniti o con la reclusione fino a 2 anni, o con l’ammenda fino a 700mila lire: un’ammenda di 150 euro non è gran cosa se si considera che l’oscuramento è una sanzione accessoria obbligatoria, non una scelta del giudice.
In questo senso, ancora una volta, lo starnazzare di presunti opinionisti che hanno subito costruito lo slogan: avere un diario in internet è stampa clandestina, è esempio di grande stupidità.
Per fortuna quello di Carlo Ruta non era un diario, era una fonte di preziose informazioni.
Perché i giornalisti, per anni, si sono battuti strenuamente per affermare il principio secondo cui a chi fa informazione non può essere impedito di procedere ad accostamenti, deduzioni, collegamenti. A patto che non siano frutto di pura fantasia.
Proprio come il giornale di Carlo Ruta. E di fronte ad un’attività di informazione, addirittura giustamente rivendicata nelle interviste dallo stesso Ruta, non hanno potuto fare a meno di rilevare la mancanza dei requisiti formali che un giornale deve possedere. Che hanno il loro peso. Fin dai tempi di Sofocle a Antigone.
ROBERTO ORMANNI, direttore responsabile di “Golem” e “IL PARLAMENTARE”

ALLEGATO

TRIBUNALE DI MODICA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice penale monocratico dr.ssa Patricia Di Marco, alla pubblica udienza dell’08.05.2008 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente:

SENTENZA

nei confronti di:

Ruta Carlo, nato a Ragusa il 26.08.1953, residente in Pozzallo Via G. Ungaretti

n. 46 Libero Assente

IMPUTATO

del reato p. e p. dagli artt. 5 e 16 della L. 08.02.1948 n. 47, per avere intrapreso la pubblicazione del giornale di informazione civile denominato “Accade in Sicilia” e diffuso sul sito internet www.accadeinsicilia.net senza che fosse stata eseguita la registrazione presso la cancelleria del Tribunale di Modica, competente per territorio per avere il Ruta comunicato al provider Tiscali il proprio indirizzo di posta elettronica in Pozzallo via Ungaretti n.46, con registrazione avvenuta in data 16 dicembre 2003.

In Pozzallo il 16.12.2003 e fino al 07.12.2004.

Con la recidiva di cui all’art. 99 C.P.

Con l’intervento del Pubblico Ministero dr.ssa V. Di Grandi V. Proc. O.

del difensore dell’imputato, Avv. G. Di Pasquale

Le parti hanno concluso come segue:

Il Pubblico Ministero chiede la condanna dell’imputato alla pena di € 250,00 di multa.

Il difensore dell’imputato chiede l’assoluzione perché il fatto non sussiste o per non averlo l’imputato commesso ed in subordine, ex art.530, 2° co. c.p.p..

MOTIVAZIONE

Ruta Carlo veniva citato a giudizio davanti al Tribunale di Modica in composizione monocratica con decreto emesso il 31.05.2006 dal Pubblico Ministero presso questo Tribunale per rispondere del reato di cui agli artt. 5 e 16 della legge n. 47 dell’8.02. 1948 meglio specificato in rubrica.

All’udienza del 25.09.2007, alla presenza dell’imputato, dopo diversi rinvii dovuti ad impedimenti del difensore di fiducia dell’imputato, si dava inizio all’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei testi indicati in lista dal P.M..

Alla stessa udienza l’imputato rendeva spontanee dichiarazioni.

All’udienza del 29.01.2008 il Tribunale disponeva degli ulteriori accertamenti mediante la Polizia Postale di Catania relativamente alla cadenza con cui il sito veniva aggiornato e con cui venivano pubblicati gli articoli.

Indi all’udienza dell’8 maggio 2008, dopo avere escusso l’Assistente della Polizia Postale di Catania Vito Latora, esaurita l’istruttoria dibattimentale, le parti formulavano ed illustravano le rispettive conclusioni come da verbale in atti.

All’odierno imputato è stato contestato il reato di cui agli artt. 5 e 16 della L. n. 47 dell’8.02. 1948 per avere intrapreso la pubblicazione del giornale di informazione civile denominato “Accade in Sicilia” e diffuso, con registrazione avvenuta il 16.12.2003, sul sito Internet WWW.accadeinsicilia.net. senza che fosse stata eseguita la registrazione presso la cancelleria del Tribunale di Modica, competente per territorio.

In diritto occorre preliminarmente osservare che l’art. 5 della L. n. 47/1948 stabilisce che nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato preventivamente registrato presso la cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi. Il successivo art. 16 dello stesso testo normativo punisce penalmente chiunque intraprenda la pubblicazione di un giornale ovvero di un periodico, senza che sia stata eseguita la suddetta registrazione.

Va chiarito che il provvedimento di registrazione consiste in un mero controllo di legittimità della regolarità formale dei documenti prodotti e della rispondenza del loro contenuto alle disposizioni di legge. La registrazione di un periodico, quindi, non costituisce un limite preventivo alla libertà di stampa, essendo esclusa nell’emissione del suddetto provvedimento ogni valutazione discrezionale circa l’opportunità di consentire o meno la pubblicazione.

La finalità della registrazione è unicamente quella di garantire la repressione degli abusi e di individuare i soggetti responsabili di eventuali illeciti commessi a mezzo stampa. Essa rappresenta soltanto una condizione di legittimità della pubblicazione, la cui mancanza dà luogo al reato di stampa clandestina.

D’altro canto anche la Corte Costituzionale con sent. N. 2 del 1971 ha escluso che le disposizioni in esame compromettano le libertà riconosciute e garantite dall’art. 21 della Cost., avendo ivi affermato che l’obbligo della registrazione riguarda esclusivamente i giornali quotidiani o periodici, sicché non pone alcuno ostacolo a che un soggetto manifesti il proprio pensiero con singoli stampati o con numeri unici.

Peraltro deve precisarsi che, sulla scorta di fondamentali enunciati del Giudice Costituzionale (sent. Cort. Cost. n. 826 del 14.07.1988), la nozione di libertà di manifestazione del pensiero fa oggi riferimento non solo alla libertà di colui che intende avvalersene in senso attivo, ma anche al diritto dei destinatari del messaggio comunicativo.

Pertanto, al fine di assicurare un equilibrio tra queste due posizioni, entrambe costituzionalmente protette, appare legittimo l’intervento del legislatore volto a regolare l’esercizio dell’attività d’informazione.

Ciò posto, occorre rilevare che, sino all’entrata in vigore della legge n. 62 del 2001, il prevalente orientamento giurisprudenziale aveva adottato un’interpretazione restrittiva dell’art. 1 della L. n. 47 del 1948, ritenendo che, affinché una pubblicazione potesse essere ricompresa nella nozione di prodotto editoriale di cui alla citata disposizione, dovesse necessariamente sussistere il requisito ontologico della riproduzione del giornale su supporto cartaceo.

Secondo tale orientamento veniva esclusa la possibilità di estendere ai giornali telematici le disposizioni relative alla registrazione previste per la stampa periodica.

Infatti la Legge n. 47 del 1948 all’art. 1 statuiva che, ai fini della suddetta legge, per stampa o stampati dovessero considerarsi tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione

Solo successivamente con la legge n. 62 del 2001 il legislatore ha esteso il concetto di prodotto editoriale, ricomprendendo in esso non solo il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ma anche quello realizzato su supporto informatico destinato alla pubblicazione anche con mezzo elettronico, ed ha, conseguentemente, esteso l’applicazione degli artt. 2 e 5 della L. n. 47 del 1948 anche ai giornali e periodici c.d. telematici. Ed invero la nuova legge all’art. 1, comma 1°, statuisce che per prodotto editoriale, ai fini della presente legge, si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora e televisiva, con esclusione dei prodotti disco grafici o cinematografici” e stabilisce al successivo comma 3° che “al prodotto editoriale si applicano le disposizioni di cui all’art. 2 della legge 8 febbraio 1948 n. 47. I1 prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata, costituente elemento identìficativo del prodotto, è sottoposto, altresì, agli obblighi previsti dall’art. 5 della medesima legge n. 47 del 1948″.

A seguito dell’entrata in vigore della suddetta legge si sono affermati due contrapposti orientamenti interpretativi circa l’ambito di applicazione del menzionato testo normativo. Secondo l’interpretazione fornita da alcuni autori il regime prescritto dall’art. 1 della L. n. 62/2001 troverebbe applicazione solo per coloro i quali intendono usufruire delle agevolazioni previste dalla medesima legge. Diversamente secondo altra parte della dottrina e secondo la giurisprudenza di merito (Trib. Milano, Il sez. Civile, 10-16 maggio 2006 n. 6127; Tribunale Salerno, 16.03.2001; Tribunale Latina, 7.06.200 1) la norma, che accomuna in un sistema unitario la carta stampata e i nuovi media, ha valore generale, così da poter affermare l’assoluta equiparabilità di un sito internet ad una pubblicazione a stampa, anche con riferimento ad un eventuale sequestro di materiale «incriminato».

Questo giudicante ritiene di aderire al secondo orientamento dianzi illustrato in quanto lo stesso, oltre che più razionale da un punto di vista sistematico, appare peraltro confermato dal fatto che il titolo della legge del 2001 reca “Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416″, il che lascia intuire che l’intenzione del legislatore non fosse solo quella di dettare regole sulle provvidenze, ma anche di introdurre modifiche attinenti all’intero settore dell’editoria.

Pertanto l’inciso contenuto nell’art. 1 della legge in esame “ai fini della presente legge” avrebbe valore generale e non limitato all’erogazione dei contributi.

Orbene, alla luce della suddetta normativa, al prodotto editoriale, per come definito dal comma 1 dell’art. 1 della L. n. 62/2001, si applicano le disposizioni di cui all’art. 2 della L. n. 47/1948, mentre i prodotti editoriali diffusi al pubblico con periodicità regolare e contraddistinti da una testata sono ulteriormente sottoposti agli obblighi previsti dall’art. 5 della medesima legge n. 47 del 1948.

In sintesi devono essere inscritte, nell’apposito registro tenuto dai tribunali civili, le testate giornalistiche on-line che abbiano le stesse caratteristiche e la stessa natura di quelle scritte o radio-televisive e che, quindi, abbiano una periodicità regolare, un titolo identificativo (testata) e che diffondano presso il pubblico informazioni legate all’attualità. In particolare, le testate telematiche da registrare e perciò sottoposte ai vincoli rappresentati dagli articoli n. 2, 3 e 5 della L. n. 47/1948 sulla stampa sono quelle pubblicate con periodicità (quotidiana, settimanale, bisettimanale, trisettimanale, mensile, bimestrale) e caratterizzate dalla raccolta, dal commento e dall’elaborazione critica di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale, dalla finalità di sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di fatti di cronaca e, comunque, di tematiche socialmente meritevoli di essere rese note.

Ed è, altresì, ovvio che il richiamo contenuto nell’art. 1, comma 3, della L. n. 62/2001 agli att. 2 e 5 della L. n. 47/1948 implica automaticamente il richiamo anche all’art. 16 della stessa legge e, quindi, alle sanzioni penali prescritte per l’ipotesi di inottemperanza alle disposizioni di cui agli artt. 2 e 5. Sicché l’art. 16 della legge sulla stampa si applica anche ai giornali telematici non già in via analogica, come da alcuni sostenuto, ma perché è lo stesso legislatore che rinvia a detta disposizione nel momento in cui impone alle testate periodiche l’obbligo della registrazione.

D’altra parte diversamente opinando sarebbe irragionevole prevedere ed imporre anche ai periodici telematici gli stessi obblighi prescritti per la stampa ed escludere l’irrogazione delle sanzioni penali fissate per l’inosservanza dei suddetti obblighi.

Detto quadro normativo, per quello che in questa sede interessa, non è stato intaccato dall’entrata in vigore del D.lgs. n. 70 del 2003, il quale, per come risulta dalla stessa rubrica del decreto, disciplina esclusivamente “i servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico”.

Le finalità della nuova normativa sono rese esplicite dal l° comma dell’art. 1 del d.lgs. n. 70/2003 e consistono nella promozione della libera circolazione dei servizi della società dell’informazione (SSI), e segnatamente nell’attività di commercio elettronico.

Tale normativa, da un punto di vista oggettivo e per come stabilito dall’art. 2 dello stesso decreto, si riferisce a “qualsiasi servizio della società dell’informazione, vale a dire qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi”.

Sostanzialmente, rientra nell’ambito regolato dalla nuova disciplina il c.d. commercio elettronico, inteso quale attività di contrattazione telematica e relative operazioni propedeutiche, oltre che qualsiasi tipo di servizio, che comunque costituisca un’ attività economica.

In relazione, poi, all’ambito soggettivo di applicazione, tre sono le definizioni rilevanti. Il «prestatore», che viene definito, sempre dall’art. 2, come la persona fisica o giuridica che presta un servizio per la società dell’informazione (SSI); il «destinatario del servizi» quale soggetto che, a scopi professionali e non, utilizza un SSI, in particolare per ricercare o rendere accessibili informazioni; il «consumatore» come qualsiasi persona fisica o giuridica che agisca con finalità non riferibile all’attività commerciale, imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.

Deve di conseguenza concludersi che il decreto legislativo in parola regola esclusivamente l’attività di prestazione di servizi di informazione, resa dalle società di informazione e da coloro che prestano servizi per le suddette società, mentre non si applica al singolo che svolge l’attività d’informazione non in forma commerciale e, quindi, non in qualità di prestatore di servizi nel senso dianzi delineato.

A tal fine va anche evidenziato che l’art. 1, ultimo periodo, della 1. n. 62/2001 risulta immutato e non è stato abrogato dal D.L.vo n. 70/2003, né la norma contenuta nel comma 3° dell’art. 7 può essere considerata norma di interpretazione autentica del citato art. 1 della 1. n. 62/2001, essendo il decreto legislativo in commento applicativo, nell’ambito dell’ordinamento interno, di una direttiva comunitaria, la quale, al momento della sua emanazione, non poteva, evidentemente, avere a riferimento la legislazione interna preesistente.

L’orientamento che, al momento dell’entrata in vigore della 1.n. 62/2001, interpretava restrittivamente l’art. i, comma 3° ultimo periodo, della 1. n. 62/2001, affermando come in realtà tale norma sancisse l’obbligo di registrazione solo per le testate giornalistiche on-line che volessero accedere ai finanziamenti statali, non è, dunque, condivisibile proprio in ragione dell’emanazione del D.L.vo n. 70/2003, il quale ha dovuto introdurre, successivamente ed all’uopo, una disposizione ad hoc, che, si ribadisce, non è di interpretazione autentica e che esenta dalla registrazione le testate editoriali telematiche riferibili alle società di servizi.

Non può, quindi, sostenersi, sic et simpliciter, che l’art. 7, comma 3°, D.L.vo n. 70/2003 abbia sostanzialmente sancito l’inoperatività dell’art. 1, comma 3° ultimo periodo, della 1. n. 62/2001, facendo salva solo la marginale ipotesi dell’accesso al finanziamento pubblico. Semmai al contrario, avuto riguardo all’oggetto della disciplina del D.L.vo n. 70/2003 ed alla portata generale dell’art. 1, commi 1 e 3, della 1. n. 62/2001, il complesso sistematico delle norme impone un’esegesi delle medesime nel senso che al singolo giornalista, che non svolge la propria attività in forma economica e che non presta servizi in favore di una società di informazione, non può applicarsi la disposizione di cui all’art. 7, comma 3, del D. Lvo n. 70/2003, che esonera dalla registrazione le testate editoriali telematiche che non intendono accedere alle provvidenze di cui alla legge n. 62/2001, perché tale disposizione riguarda solamente il c.d. prestatore di servizi, rimanendo conseguentemente il singolo giornalista sottoposto all’obbligo di cui all’art. 1, comma 3° ultimo periodo, della 1. n. 62/2001.

A conferma di quanto sopra asserito (in operatività del comma 3°art. 1 L. n. 62/2001) va ulteriormente chiarito che la registrazione cui fa riferimento l’art. 7, comma 3, del D. Lvo n. 70/2003 non può che essere quella da effettuarsi presso il Registro Operatori della Comunicazione (ROC), istituito con la L. n. 249 del 1997 (art. 16 L. n. 62/2001), e non quella da effettuarsi ai sensi dell’art. 5 della L. n. 47/1948 (art. 1, comma 3, L. n. 62/2001), essendo la prima sostitutiva della seconda, ai sensi dell’art. 16 della L n. 62/2001, ed essendo tenute le società dei servizi di informazione, cui si applica il D. Lvo n. 70/2003 e fatta salva l’esenzione di cui all’art. 7, comma 3°, del D.L.vo n. 70/2003, all’iscrizione presso il suddetto registro, anche in funzione sostitutiva della registrazione prevista dall’art. 5 della 1. n. 47/1948, quale obbligo connesso al singolo servizio ex art. 7, comma 1°, del D.L.vo n. 70/2003 e ai sensi del combinato disposto dell’art. 16 della 1. n. 62/2001 con l’art. 1 comma 6 lett. a) numero 5) della L. 249/1997. Le stesse, infatti, rientrano tra i soggetti individuati all’uopo dalla legge del 1997 e cioè tra “i soggetti destinatari di concessione ovvero di autorizzazione in base alla vigente normativa da parte dell’Autorità o delle amministrazioni competenti, le imprese concessionarie di pubblicità da trasmettere mediante impianti radiofonici o tele visivi o da diffondere su giornali quotidiani o periodici, le imprese di produzione e distribuzione dei programmi radiofonici e tele visivi, nonché le imprese editrici di giornali quotidiani, di periodici o riviste e le agenzie di stampa di carattere nazionale, nonché le imprese fornitrici di servizi telematici e di telecomunicazioni ivi compresa l’editoria elettronica e digitale”.

In conclusione, alla stregua della normativa introdotta con il D.L.vo dcl 2003, devono inscriversi nel Roc soltanto i soggetti editori che pubblicano una o più testate giornalistiche diffuse al pubblico con regolare periodicità per cui è previsto il conseguimento di ricavi qualora intendono avvalersi delle provvidenze previste dalla L. n. 62 del 7.03.2001 o che, comunque, ne facciano specifica richiesta.

Tale differenziazione di trattamento per le società di servizi di informazione e per il prestatore di servizi che opera in favore della stessa, i quali qualora non intendano beneficiare del finanziamento pubblico sono esonerati dall’obbligo di iscrizione al Roc, si giustifica in considerazione del fatto che detti enti collettivi sono già sottoposti ad una normativa che consente facilmente di individuarli e, dunque, garantisce la trasparenza ed il controllo sullo svolgimento della loro attività (vedi appunto D.lgs. n. 70/2003 e segnatamente lo stesso art. 7, commi i e 2, che impone al prestatore l’obbligo di fornire una serie di dettagliate informazioni circa la propria attività).

Una diversa interpretazione delle disposizioni in commento, a parere di questo Decidente, sarebbe suscettibile di irragionevolezza ed in contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.

Difatti, qualora dovesse ritenersi che la disposizione di cui all’art. 7 comma 3 del D.lgs. n. 70/2003 abbia escluso l’obbligo della registrazione di cui all’art. 5 della L. n. 47/1948 per tutti coloro i quali pubblicano un periodico tramite la rete Internet, si creerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra i giornalisti della carta stampata, i quali soli sarebbero costretti a rispettare il dettato della legge del 1948 sulla stampa, ed i giornalisti telematici i quali, invece, potrebbero pubblicare in rete senza alcuna limitazione e senza alcuna forma di controllo.

Si aggiunga che proprio la pubblicazione di una pagina web rappresenta la forma più efficace e potenzialmente più insidiosa di diffusione di una notizia, dato o informazione, giacché tale “luogo” virtuale può essere visitato non solo da colui che è specificamente e direttamente interessato a conoscere una certa notizia, ma può essere visitato anche da soggetti che, inserendo uno o più termini in un motore di ricerca, vengono indirizzati al sito in oggetto.

Al riguardo proprio la Suprema Corte in una recente sentenza ha rilevato come nel caso in cui un utente di Internet “crei o utilizzi uno spazio web, la comunicazione deve intendersi effettuata potenzialmente erga omnes (sia pure nel ristretto -ma non troppo – ambito di tutti coloro che abbiano gli strumenti, la capacità tecnica e, nel caso di siti a pagamento, la legittimazione a connettersi)” (Cass. pen. 27 dicembre 2000).

Tanto premesso in diritto, nel caso in esame risulta acclarata la sussistenza del reato contestato all’odierno imputato.

Dalla documentazione in atti emerge inequivocabilmente che l’imputato ha pubblicato sul sito internet denominato www.accadeinsicilia.net, un giornale che rientra nel paradigma del prodotto editoriale descritto dall’art. 1, comma 3, L. n. 62/2001.

In primo luogo è lo stesso imputato che, intitolando il proprio prodotto “Accade in Sicilia giornale di informazione civile”, ha definito e qualificato il proprio prodotto come giornale diretto a svolgere attività di informazione e, dunque, come prodotto editoriale.

Ad ulteriore conferma che quanto pubblicato dal Ruta sul sito in parola sia un prodotto editoriale proviene dal contenuto degli articoli in esso pubblicati, i quali hanno ad oggetto fatti di cronaca locale, inchieste giudiziarie, testimonianze dirette e fatti storici (vedi: “omicidi Tumino e Spampinato”; “affare acqua e mafia”; 8.08.2003 “emergenze e giustizia il questore Casabona viene trasferito da Ragusa “; 29.06.2003 “caso Carbone-Antonveneta. Nell’est siciliano si vilipende la legge fino alla vergogna”; 15.04.003 “Operazione privè negli iblei”).

In secondo luogo, l’attività istruttoria ha consentito di accertare che il sito internet creato dall’imputato presentava le caratteristiche di un periodico per la sistematicità con cui veniva aggiornato e con cui venivano pubblicati gli articoli.

Dalle pagine del suddetto giornale rinvenute dalla Polizia Postale di Catania e da quelle già acquisite al fascicolo per il dibattimento si evince chiaramente che gli articoli venivano pubblicati con cadenza giornaliera, dato peraltro confermato, come già anticipato, anche dalla denominazione data dallo stesso imputato di “Giornale” che letteralmente significa quotidiano di informazione” (vedi articoli datati 27.11.2004, 25.11.2004, 15.11.2004, 17.11.2004, 10.11.2004, 6.11.2004, 3.11.2004, 1.11.2004, 30.10.2004, 28.10.2004, 14.10.2004, 13.10.2004).

In conclusione, il prodotto pubblicato dal Ruta sul sito internet denominato WWW.accadeinsicilia.net si inquadra esattamente nell’ambito del prodotto editoriale di cui all’art. 1, commi 1° e 3° del D. lvo n. 62/2001 per la cui pubblicazione era necessaria la registrazione presso la cancelleria del tribunale, non operando nel caso di specie l’esenzione di cui all’art. 7, c. 3°, D. Lvo n. 70/2003 perché l’imputato non ha svolto l’attività d’informazione per cui è processo in forma commerciale o comunque economica, né ha operato quale prestatore di servizi per le società di servizi d’informazione.

L’inottemperanza al predetto obbligo, in applicazione di principi di diritto sopra enunciati, integra il reato di cui all’art. 16 della L. n. 47/1948.

In ultimo va chiarito che non assume rilevanza, al fine di escludere la penale responsabilità dell’imputato, l’affermazione resa dallo stesso in sede di spontanee dichiarazioni, secondo cui il prodotto dallo stesso pubblicato non fosse un quotidiano, ma semplicemente un “blog” inteso come diario di informazione civile.

Al riguardo giova innanzitutto evidenziare che il “blog” è principalmente uno strumento di comunicazione ove chiunque può scrivere ciò che vuole e come tale può anche essere usato per pubblicare un giornale.

Infatti un “blog” può anche essere utilizzato come metodo di presentazione di un giornale, cioè di una testata registrata con una sua linea editoriale, per coinvolgere il pubblico.

Pertanto diverso può essere l’uso che si fa del blog nel senso che lo si può utilizzare semplicemente come strumento di comunicazione ove tutti indistintamente possono esprimere le proprie opinioni sui i più svariati argomenti ed in tal caso non ricorre certamente l’obbligo di registrazione, ovvero come strumento tramite il quale fare informazione.

Nella fattispecie de qua, come risulta dalle pagine acquisite agli atti e come ha riferito il teste La Tora, per pubblicare degli articoli sul sito creato dal Ruta era necessario contattare costui e sottoporre alla sua preventiva valutazione l’articolo che si intendeva pubblicare.

Pertanto appare evidente come il sito in questione non fosse un blog, al quale chiunque potesse accedere e partecipare al dibattito, ma era un vero e proprio giornale dotato di una testata e di un editore responsabile.

A suggello e conferma di quanto sopra va, del resto, richiamato che lo stesso imputato ha definito la propria pubblicazione come “Giornale di informazione civile”.

L’imputato va, quindi, condannato in ordine al reato allo stesso contestato.

L’imputato appare meritevole della concessione delle attenuanti generiche attesa la sua incensuratezza.

Così affermata la penale responsabilità di Ruta Carlo in ordine al reato ascrittogli, avuto riguardo ai criteri indicati dall’art. 133 c.p., riconosciute le attenuanti generiche per l’incensuratezza dell’imputato, si ritiene equo determinare la pena in € 150,00 di multa (pena base € 225,00 di multa ridotta nella misura finale ex art. 62 bis c.p.).

All’affermazione di responsabilità dell’imputato segue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali.

Data la complessità delle questioni trattate è stato fissato in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione.

P.Q.M.

Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.;

dichiara Ruta Carlo colpevole del reato allo stesso ascritto e, concesse le attenuanti generiche, lo condanna alla pena di € 150 di multa oltre al pagamento delle spese processuali; visto l’art. 544 c.p.p.;

fissa per il deposito della motivazione il termine di giorni novanta.

Modica 8.05.2008

IL GIUDICE
Patricia Di Marco

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Roberto Ormanni è il curatore del mio libro "La mia vita dentro" e mi onora della sua amicizia.