venerdì 17 giugno 2011

La fine di B. come un film dei Vanzina

di Flavia Perina

Caro direttore,

quale immagine resterà fissata nella percezione collettiva come icona della fine del berlusconismo? Dei grandi leader occidentali, di Margaret Thatcher defenestrata dal suo stesso partito o di Helmut Kohl travolto da una indagine per corruzione, ricordiamo poco: furono capi carismatici ma non assoluti, e uscirono di scena senza la teatralità che accompagna il declino dei raìs. E infatti sono i dittatori quelli che hanno consegnato alla storia i fotoracconti più emblematici: l’abbattimento della statua di Saddam in Piazza Paradiso, o l’ultimo messaggio di Gheddafi in una stanza completamente bianca e senza finestre, o ancora lo sguardo sgranato di Ceausescu e di sua moglie davanti al tribunale speciale che li processava dopo un imprevedibile arresto.

In Italia si è pensato per molto tempo all’inveramento della profezia del Caimano, con quella scena finale sulle scalinate del Tribunale di Milano così terribile e plausibile. Ma alla luce degli ultimi eventi, bisogna riconsiderare ogni previsione.

C’è poco pathos e niente dramma nella caduta degli Dei a cui stiamo assistendo dal giorno dei ballottaggi, e le molte metafore storiche utilizzate a piene mani dal giornalismo pigro – il 25 luglio e l’8 settembre, la caduta del Muro o la vittoria di Solidarnosc su Jaruzelski – si dimostrano lontanissime dalla realtà.

La fine del berlusconismo è a metà tra i film dei Vanzina e i libri di Ammaniti, consegnata a un crescendo di equivoci, errori, imprevidenze, che sospingono la trama e i personaggi verso il caos a dispetto di ogni tentativo di rimettersi in carreggiata. È un po’ La Mandrakata e un po’ Che la festa cominci, e le immagini che ricorderemo sono quelle viste nel web in questi giorni, più mortificanti che tragiche.

C’è il ministro Brunetta che maltratta una signora colpevole solo di averle rivolto una domanda, poi si fa scudo delle sue bodyguard per umiliare i suoi amici, e infine in un crescendo di irresponsabilità diffonde una falsa versione dell’accaduto e viene travolto dalle contumelie di decine di migliaia di dipendenti pubblici.

C’è Clelio Stracquadanio che insulta i “fannulloni del web” contrapponendogli la sua operosità parlamentare, fa infuriare tutti i sindacati del pubblico impiego e in una surreale escalation di irragionevolezza estende l’invettiva ai giovani e ai disoccupati: la diffusione-lampo delle sue parole in rete, ha scritto ieri sul Predellino, è la riprova che in Italia c’è troppa gente che ha tempo da perdere al computer, perché se i ragazzi avessero davvero voglia di lavorare accetterebbero i quattro milioni di posti occupati dagli immigrati senza fare troppi complimenti.

Sembrano tutti pazzi. Per anni hanno tessuto il quotidiano elogio della sovranità popolare, fonte di legittimazione assoluta fino al punto di imporre, addirittura, la prevalenza della “costituzione materiale” (cioè l’intangibilità del premier eletto) su quella scritta, e adesso all’improvviso si scagliano contro gli impiegati e i precari, i disoccupati e i frequentatori di social network, cioè grosso modo i due terzi del Paese come se il consenso non gli interessasse più, lasciando prevalere sulla logica politica un irrazionale e patetico istinto vendicativo. Ed è per questo, credo, che le molte fosche previsioni sul declino del berlusconismo – a cominciare dalla possibilità di un’altra Piazzale Loreto a lungo discussa – saranno smentite dai fatti.

Non ci saranno pallottole, e nemmeno sputi in questo finale di stagione, ma crisi isteriche e stracci che volano, come in una classica commedia all’italiana, e alla fine le immagini che resteranno nella memoria saranno gli attacchi di nervi di una classe dirigente impreparata alla sconfitta così come è stata a lungo inadeguata alla vittoria.

Più Fantozzi che gerarchi nel bunker, ed è senz’altro meglio così per un Paese che non vede l’ora di voltare pagina limitando al minimo l’ansia e i danni.

2 commenti:

Francy274 ha detto...

Già, ne sono felice anch'io se vanno via con lo stile fantozziano... ma sarà così? Speriamo!
Si stanno applicando alla grende per rendere il clima troppo rovente, isterici ricchi dei nostri averi, è questo il danno che non verrà loro perdonato.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Adesso che non è più direttore del Secolo d'Italia e si rivolge al Fatto Quotidiano, sto apprezzando sempre più questa intellettuale di destra. Mi garba, dicono in Toscana!