mercoledì 29 giugno 2011

Non va bene un proconsole alla Banca d'Italia

di EUGENIO SCALFARI

IL "FORCING" di Giulio Tremonti sulla nomina del governatore della Banca d'Italia va osservato con molta attenzione. Avviene negli stessi giorni e quasi nelle stesse ore nelle quali si discute la sua manovra finanziaria alla luce delle richieste sempre più perentorie che gli vengono fatte da Berlusconi e da Bossi. Si direbbe che la nomina di Grilli al posto che ancora per poche settimane sarà occupato da Mario Draghi possa essere il prezzo di concessioni sulla manovra, nel senso di renderla più mite e di concedere qualche compenso alle famiglie e alle imprese secondo i desideri del governo e della Lega.

Se questo scambio dovesse avvenire la cosiddetta purezza d'intenti del ministro dell'Economia ne sarebbe fortemente compromessa ed è strano che non se ne renda conto. Così pure è strano che il suo appoggio alla candidatura di Grilli alla guida della Banca d'Italia si sia trasformato in una vera e propria imposizione nei confronti di Berlusconi, con sgarri procedurali vistosi in una materia dove il rispetto delle forme ha un'importanza sostanziale. Due giorni fa sul nostro giornale abbiamo pubblicato alcune "indiscrezioni" la cui paternità era facile intuire, che contenevano l'elenco delle ragioni in favore della candidatura di Grilli.

Ha 54 anni e quasi tutti i governatori di Banche centrali hanno più o meno la stessa età; seguiva l'elenco dei nomi e l'età anagrafica dei governatori in questione. Grilli è esterno alla Banca d’Italia e quasi tutti i Governatori di fresca nomina sono stati scelti all'esterno delle rispettive Banche centrali (seguiva l'elenco). In gran parte dei casi i governatori provengono dai ministeri del Tesoro dei rispettivi paesi (ennesimo elenco). Dal canto suo Tremonti annunciava pubblicamente - e Berlusconi confermava - che il Consiglio superiore della Banca di via Nazionale avrebbe dovuto emettere il suo parere martedì 28 (oggi per chi legge) mentre il Consiglio dei ministri avrebbe deciso il 30 sulla nomina e anche sulla manovra. E qui gli strappi di procedura:
il Consiglio superiore non avrebbe dovuto dare il parere sul nome del candidato ma avrebbe dovuto limitarsi a tratteggiarne l'identikit; un solo nome sarebbe entrato in Consiglio dei ministri come candidato e ne sarebbe uscito come governatore; il Consiglio dei ministri avrebbe redatto il decreto e Berlusconi l'avrebbe portato alla firma del Presidente della Repubblica il quale però, nel giorno in cui queste notizie venivano diffuse dai giornali, era ancora all'oscuro dell'improvvisa accelerazione.
È opportuno - prima di procedere oltre - ricordare che il decreto di nomina del governatore della Banca d'Italia non è un atto del governo che viene portato al Quirinale per essere controfirmato. Al contrario:
è un decreto del Presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio, sentito il Consiglio superiore dell'Istituto. Proprio per questo si è sempre parlato di un "atto complesso" nel quale debbono incontrarsi e coincidere diverse volontà.

A quanto risulta da fonti molto attendibili ci sono stati in proposito due incontri tra Napolitano e Berlusconi. Le stesse fonti escludono che i nomi dei candidati siano stati vagliati e tantomeno che uno di essi sia stato scelto. È stato però riaffermato un criterio: il candidato deve assicurare la piena indipendenza dell'istituto che andrà a presiedere e nei limiti del possibile la continuità con quanto fin qui per tre anni è stato fatto da Draghi e dal direttorio attualmente in carica. Lo stesso criterio è anche stato espresso nei giorni scorsi da Carlo Azeglio Ciampi e dallo stesso Draghi il quale dovrebbe essere ricevuto oggi a Palazzo Chigi. Per quanto riguarda il Consiglio superiore della Banca,
fonti altrettanto attendibili fanno sapere che il parere richiesto dalla legge, non vincolante ma obbligatorio, sarà dato dal Consiglio superiore soltanto sui nomi e non sui criteri. Fino a quando i nomi o il nome non saranno stati ufficialmente indicati il Consiglio non potrà emettere alcun parere. La procedura sarà dunque sospesa in attesa che i nomi siano stati fatti.

* * *
Dirà forse qualcuno che si tratta di quisquilie e di pagliuzze prive di importanza. Nessuno però l'ha detto per la semplice ragione che non è così. Si sta infatti discutendo di quale sia il ruolo della Banca d'Italia e di chi è preposto a guidarla nei confronti da un lato del governo nazionale e dall'altro della Banca centrale europea della quale i governatori nazionali fanno parte integrante.
A questo punto la discussione si deve necessariamente spostare sulla natura di questo duplice rapporto. Anzitutto con il governo nazionale. La Banca d'Italia non ha più - come tutte le sue consorelle dell'euro-gruppo - attribuzioni concernenti la politica monetaria, la fissazione dei tassi di interesse e di risconto e, di conseguenza, del tasso di cambio con le altre monete. Ha invece competenza sulla Vigilanza del sistema bancario nazionale e rappresenta la più qualificata tribuna sull'andamento dei "fondamentali" e della congiuntura.

L'indipendenza di questa tribuna e l'autonomia della Vigilanza dal potere politico sono requisiti essenziali, ma
non collimano con la concezione di Tremonti in proposito. Il nostro ministro dell'Economia non fa mistero del suo pensiero, l'ha espresso e l'ha scritto più volte riaffermandolo ancora nei giorni scorsi: la Banca d'Italia deve marciare di pari passo con il Tesoro evitando le "prediche inutili" che possono dar luogo a discrasie e disturbare il supremo manovratore che è per l'appunto il governo e in particolare il ministro dell'Economia a ciò delegato. La Banca d'Italia, in questa concezione, è una qualificata "struttura servente".

Non è mai stato così. Non lo fu con Menichella, con Carli, con Baffi, con Ciampi. Le loro "prediche inutili" non furono affatto tali, costituirono invece un contrappunto prezioso inducendo i governi a correggere e comunque a tener conto di quelle considerazioni e fornendo orientamenti utili alle parti sociali, agli operatori e al mercato. Tanto importanti da indurre un ministro del Tesoro della levatura di Nino Andreatta a sancire il cosiddetto "divorzio" tra la Banca e il Tesoro sulla delicatissima questione del finanziamento monetario del debito pubblico.

Nessuno nega che l'attuale direttore generale del Tesoro abbia sufficienti titoli di competenza, ma le forzature di Tremonti in suo favore, come del resto la carica che attualmente ricopre, ne fanno un tipico e legittimo esempio di struttura servente che va benissimo per il ruolo che riveste attualmente ma nient'affatto con quello che andrebbe a ricoprire in via Nazionale. Il ministro dell'Economia del resto di strutture serventi ne ha già una quantità, dalla Cassa depositi e prestiti alla costituenda Banca del Sud, al fondo per finanziare banche e imprese "strategiche", alla Consob.
Annettersi anche alla Banca d'Italia configurerebbe una sorta di proconsolato del tutto inadatto ad una democrazia liberale che richiede molteplicità di soggetti dotati di sufficiente autonomia nei rispettivi terreni di competenza.

Il rapporto delle Banche centrali nazionali con la Bce è di tutt'altra natura. La Bce è guidata da un direttorio permanente e da un presidente che lo rappresenta al massimo livello. È un soggetto che gode di piena indipendenza nei confronti delle altre istituzioni europee. I governatori delle Banche centrali nazionali compongono insieme al direttorio il Consiglio dell'Istituto, nel quale riversano le informazioni economiche di cui dispongono e le loro valutazioni sulla congiuntura europea e internazionale. In quella sede non rappresentano un potere-terzo ma fanno parte essi stessi d'un potere-terzo e come tale deliberano, indirizzano il direttorio e ne sono indirizzati. Queste questioni sono dunque molto chiare. Confonderle non giova e non giova forzarne l'esecuzione. L'atto complesso della nomina si svolga dunque nel rigoroso rispetto delle procedure e secondo i criteri che debbono tener conto soltanto dell'interesse generale.

(28 giugno 2011)

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