di Marco Travaglio
Dinanzi allo sconcio delle intercettazioni che immortalano la Rai, già “servizio pubblico” e “prima azienda culturale del Paese”, come un’appendice della P4, il presidente Paolo Garimberti è riuscito a dire soltanto che l’azienda che presiede a sua insaputa ha subìto qualche “schizzo di fango”. Come se ci fosse bisogno delle intercettazioni per scoprire ciò che tutti sapevano, e cioè che Masi & gli altri affossatori della Rai sono eterodiretti. Uno sconcio che, almeno per la Rai, è peggio della P2, visto che la P4 e i suoi manutengoli ai piani alti di Viale Mazzini sono riusciti dove persino Gelli aveva fallito: cancellare dai palinsesti i due programmi giornalistici di maggior successo dell’ultimo anno, Vieni via con me e Annozero.
Le indagini di Trani e di Napoli dimostrano carte alla mano che la cacciata di Santoro è avvenuta su ordine diretto del presidente del Consiglio per mano di un Masi letteralmente telecomandato da Bisignani e di una Lei molto vicina a quegli ambienti.
Quanto basterebbe perché Garimberti prenda quelle carte e monti sul primo aereo per Strasburgo per denunciare all’Europa una palese violazione del principio comunitario di non ingerenza dei governi nell’informazione. Così magari la Procura di Roma e il Tribunale dei ministri, che da un anno si rimpallano la patata bollente delle intercettazioni di Trani, si deciderebbero a fare qualcosa. L’altra notte, in uno di quei programmi-marchetta che infestano i palinsesti estivi della Rai, Milly Carlucci in quel di Amalfi insigniva Garimberti del premio Biagio Agnes per le mirabolanti imprese del servizietto pubblico sui 150 anni dell’unità d’Italia. Garimberti commentava giulivo: “Speriamo di meritarcelo”, tra gli applausi di Vespa, assiso in seconda fila. Ma sì che ve lo meritate, quel premio: a vita ve lo meritate, visto avete superato il maestro. Nemmeno Biagione, campione della Rai lottizzata di De Mita & C., dove però lavoravano Grillo e tanti altri irregolari, avrebbe mai osato mettere alla porta Santoro e Saviano. Ora, se tutto va bene, sistemeranno anche Milena Gabanelli e la squadra di Report.
Dopo 14 anni di onorato servizio, il capo dell’ufficio legale Rai, Lo Giudice, avvocato del Giornale berlusconiano e figlio del difensore di Craxi, ha comunicato a Milena che, non essendo lei dipendente, non ha diritto alla “manleva”. Cioè alla copertura legale per contratto (che non esclude la rivalsa dell’azienda in caso di condanna per dolo o colpa grave).
Tutte balle: anche Giuliano Ferrara è un esterno Rai, guadagna il quintuplo della Gabanelli per vomitare ogni sera i suoi liquidi organici contro i nemici del suo padrone, ma lui la manleva ce l’ha. Altrimenti eviterebbe di calunniare questo e quello. Tanto paghiamo noi: come direbbe Ricucci, fa il frocio col culo degli altri.
La Gabanelli invece, che in 14 anni di inchieste complicatissime non ha mai perso una causa né un processo per diffamazione, è considerata una fonte possibile di “danni erariali” per l’azienda che ingrassa grazie a lei. Dunque non può rinnovare il contratto che scade il 31 agosto, quello nuovo è irricevibile: lei lavora per la Rai ma, se qualcuno le fa causa, affari suoi. Roba mai vista in un’azienda editoriale. È come se un poliziotto venisse spedito a sedare una rivolta in carcere, ma casco, armi e giubbotto antiproiettile dovesse pagarseli lui. Solo il Cda può sanare la ferita. Ma lì comanda il centrodestra, con Petroni e la Bianchi Clerici che nominarono un dg incompatibile, Meocci, attirando sulla Rai una multa di 14 milioni (“danno erariale”?); e con gli altri che hanno assunto Minzolini, ora indagato dalla Corte dei conti e dalla Procura per 60 mila euro di spese non rimborsabili pagati con la carta di credito aziendale (“danno erariale”?). Quando anche la Gabanelli sarà accompagnata alla porta, qualche intercettazione svelerà i veri mandanti dell’operazione. E qualche presidente, uno a caso, farà la bocca a cul di gallina e piangerà sul fango versato.
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