martedì 26 luglio 2011

C’ERA UNA VOLTA PENATI

Il braccio destro di Bersani lascia tutti gli incarichi
Dai verbali in mano ai pm accuse sempre più circostanziate

di Giorgio Meletti

Filippo Penati balla il liscio, nella miglior tradizione delle Feste dell’Unità. Un passo indietro giovedì scorso, all’indomani delle perquisizioni e dell’avviso di garanzia per concussione, corruzione e finanziamento illecito: autosospensione dalla vicepresidenza del consiglio regionale della Lombardia. Due passi avanti durante il fine settimana, con l’orgogliosa rivendicazione del proprio onore e della propria onestà messa in discussione dalle accuse di due imprenditori della sua Sesto San Giovanni. E con il tentativo di screditare i suoi accusatori. Due passi indietro ieri, dopo l’uscita di nuovi dettagli, sempre più stringenti e circostanziati delle accuse dell’ex amico Piero Di Caterina: dimissioni dalla vice-presidenza del consiglio regionale, più autosospensione dalla cariche di partito.

LA DECISIONE di ieri fa seguito agli attacchi nemmeno tanto velati degli avversari interni e all’ostinato silenzio dell’uomo che ha accompagnato alla conquista della segreteria del partito democratico, Pier Luigi Bersani. Il quale in serata si è limitato a far sapere che quanto aveva da dire l’ha già detto giorni fa, pretendendo da tutti gli indagati un passo indietro e invocando “intransigenza e rigore” sul tema della legalità. Bersani fa anche sapere di aver apprezzato i due passi indietro di Penati, mentre il segretario lombardo del partito, Maurizio Martina, esprime all’ex presidente della Provincia di Milano “l'auspicio che tutto possa chiarirsi positivamente e nel più breve tempo possibile”. Una frase che, segnalando una certa distanza dalla granitica sicurezza che Penati sia innocente, fotografa tutto l’imbarazzo del Pd. Del resto ieri hanno continuato a trapelare passaggi stringenti dei verbali di interrogatorio dell’imprenditore Di Caterina. Il quale già un anno fa ha raccontato ai magistrati di Milano che lui, in rapporti di amicizia e “affari” con Penati e con il suo braccio destro Giordano Vimercati, era “sicuro che le somme da me anticipate mi sarebbero state restituite in quanto era scontato che Pasini (l'altro imprenditore che ha denunciato la vicenda, ndr) avrebbe pagato una tangente a Penati”. Di Caterina non fa più di tanto la vittima, quando racconta di aver versato oltre 4 miliardi di lire da metà degli anni ‘90 al 2003 perché “mi hanno consentito di partecipare a operazioni per me lucrose”. “Si è trattato di pagamenti in cambio di favori”, precisa Di Caterina, che però alla fine non dev’essere rimasto soddisfatto del trattamento ricevuto e quindi ha detto ai magistrati: “Ora io attendo la restituzione”.

Imbarazzi a parte, ormai è un fatto che i dati dell’inchiesta – nel frattempo passata alla Procura della Repubblica di Monza – hanno fatto irruzione nella discussione interna al Pd, al vertice e alla base. Colpisce un particolare: Penati, oltre che dalla assemblea nazionale dalla direzione nazionale del partito, si è anche autosospeso – così almeno si deduce – dalla Commissione per il Codice Etico, eletta per acclamazione alla Convenzione nazionale del Pd dell’11 ottobre 2009. Il codice etico prescrive comportamenti e regole al di là dell’ovvio “non commettere reati”. Quindi è possibile che qualcuno ponga il problema di una valutazione delle azioni di Penati nelle apposite Commissioni di garanzia del partito. L’articolo 2 comma 5 dice per esempio che bisogna ispirare “il proprio stile politico all’onestà”.

IL PROBLEMA è semplice: il Pd deve vagliare la vicenda Penati o aspettare fiducioso il lavoro della magistratura? La questione non è formale, e promette di provocare anche pesanti lacerazioni interne se solo si guarda con attenzione alla storia di Filippo Penati.

C’è un Penati di prima. Sestese purosangue, insegnante, assessore per otto anni e poi, nel 1994 sindaco. È personaggio molto locale, alla guida di una città industriale in declino di 80 mila abitanti .

Poi c’è il Penati di dopo. Quello a cui l’anima riformista consente di immaginare un futuro post-industriale per Sesto, uffici e palazzi al posto dell’acciaieria Falck, 1,3 milioni di metri quadrati, forse la maggiore riconversione urbana d’Europa, un affare da miliardi di euro. Fa appena in tempo a lanciare il progetto, poi scade il suo mandato da sindaco, non riesce a imporre il suo delfino Giordano Vimercati (oggi indagato con lui) e se la deve vedere con l’ex giornalista Giorgio Oldrini (oggi indagato) che prende il comando del comune e non obbedisce. Anzi, caccia subito dalla multiutility del comune un fedelissimo di Penati, Franco Maggi, suo portavoce e oggi anche direttore editoriale di YouDem, la tv online del partito. Agli amici Oldrini racconta una versione minimalista: “Questo lavoro ti riempie giorno e notte così quando smetti ti manca e cominci a rompere i coglioni a quello che arriva dopo di te. Quando sono arrivato io, Penati ha pensato che io volessi cancellare il suo passaggio da Sesto, cosa assolutamente falsa. Semplicemente ho preso decisioni e strade diverse da quelle che avrebbe adottato lui”. Frase significativa, se si pensa che il costruttore Giuseppe Pasini lamenta di aver dato un sacco di soldi a Penati senza veder mantenute le promesse. Ma Penati ormai è in orbita. Scala la provincia di Milano e regala un sacco di soldi pubblici al costruttore Gavio per le azioni dell’autostrada Milano-Serravalle. Per chiudere l’affare telefona dicendo “mi ha dato il suo numero Bersani”. Quando nel 2009 perde le elezioni per il secondo mandato alla provincia, viene premiato con la guida della campagna per le primarie di Bersani , che poi lo vorrà a capo della segreteria politica del partito. Un uomo irrinunciabile, dunque, che però si dimette a fine 2010 solo perché il suo candidato Stefano Boeri ha perso le primarie per il comune di Milano (ma intanto i magistrati di Milano riempiono gli armadi di testimonianze contro di lui). Per tutto ciò vorrebbe un ampio e approfondito dibattito, come si diceva un tempo. E non essere liquidato come un mariuolo di provincia.

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