domenica 24 luglio 2011

Il credito c'è e anche morale

La signora Merkel doveva scegliere: difendere l'indipendenza della Banca centrale europea, o usare il bilancio della Bce per mascherare i costi degli interventi fiscali che si sono resi necessari per salvare l'euro. Fedele alla tradizione tedesca, ha scelto l'indipendenza della Bce. Se si vuole riassumere con un'immagine il risultato del vertice europeo di giovedì, questo produrrà rigore monetario e una politica fiscale austera, ma non inflessibile. Ciò significa tassi di interesse che ritorneranno alla normalità (i tassi al netto dell'inflazione sono negativi da tempo) e un euro rafforzato.

La Bce ha ottenuto tre risultati importanti: 1) i rischi che in questi mesi la Banca si è assunta acquistando titoli pubblici per sostenere i Paesi in difficoltà vengono garantiti dal Fondo europeo per la stabilità finanziaria (Fesf o Efsf, European Financial Stability Facility), quindi dai contribuenti degli Stati forti. Per ora questa garanzia si applica solo ai titoli greci acquistati dalla Bce, ma, accettato il principio, sarà difficile non applicarlo in futuro ad altri Paesi. Di una garanzia simile godono peraltro la Federal Reserve americana e la Banca d'Inghilterra: finora in Europa non era stato possibile per l'assenza di un'autorità fiscale federale; 2) le risorse del Fesf potranno essere utilizzate per ricapitalizzare le banche. Da tempo la Bce sostiene che dalla crisi non si esce se non si rafforza il capitale delle banche, mettendole nelle condizioni di non temere l'insolvenza di uno Stato sovrano. Considerando che fino al giorno prima del vertice il presidente Sarkozy proponeva il contrario, cioè di tassare le banche, il risultato è una vittoria significativa per la Bce; 3) il Fesf potrà acquistare sul mercato titoli pubblici di qualunque Paese dell'area dell'euro. Finora non lo poteva fare, e ciò lasciava la Bce sola a fronteggiare improvvise crisi di fiducia nel debito di un Paese (è accaduto 10 giorni fa con i titoli italiani).

A fronte di questi risultati Jean-Claude Trichet ha pagato comunque un prezzo: ha dovuto accettare l'insolvenza della Grecia e, pur garantito dal Fesf, impegnarsi a non escludere le banche greche dai finanziamenti della Bce. In altre parole accettare una realtà che per molti mesi aveva negato: quando si presta denaro ad uno Stato, anche europeo, c'è il rischio di non essere ripagati. Fino a ieri questo pericolo non c'era, da oggi è un fattore del quale gli investitori dovranno tener conto.
L'architrave degli accordi di giovedì è l'aumento delle risorse del Fesf tramite l'emissione di titoli garantiti dagli Stati forti. I capi di Stato non hanno voluto impegnarsi con una cifra, ma se vogliono che l'accordo sia credibile non potranno attendere a lungo. Inoltre, finora il Fondo decideva all'unanimità, con il rischio che un singolo Paese (è accaduto con la Finlandia) bloccasse tutto. Il testo di giovedì evita la parola unanimità e parla di mutual agreement, un concetto meno impegnativo che prevede l'unanimità solo di chi è presente alle riunioni.

Al rigore monetario si accompagna maggiore flessibilità nelle regole di bilancio. Dopo non aver fatto quasi nulla per due anni, ed aver speso i 110 miliardi di euro ricevuti un anno fa, la Grecia ottiene altri 109 miliardi ad un tasso da Paese virtuoso, il 3,5%. Ottiene anche che le banche le condonino (di fatto) debiti per altri 106 miliardi nei prossimi 8 anni, un terzo di tutto il suo debito. Non c'era altra via, a meno di accettare che Atene uscisse dall'euro mettendo a rischio la costruzione monetaria europea. Ma il segnale ai Paesi indebitati è che bisogna fare sacrifici, ma senza dannarsi.

Francesco Giavazzi
23 luglio 2011

2 commenti:

FRANCESCO POMA ha detto...

IL PAESE CHE VORREI
Il paese che vorrei è un paese semplice. Non cerca di assomigliare a nessuno, di esser la riproduzione “in piccolo” di una rinomata località turistica ma cerca di esser se stesso, di valorizzare le sue virtù.
Nel paese che vorrei gli amministratori sono persone semplici. Non occorre raccomandarsi a nessuno per incontrarle, sanno darti una risposta minima in ogni momento, sono persone che vivono il paese e che non hanno bisogno di una carica per darsi lustro.
Nel paese che vorrei anche le procedure sono semplici. Si parla di regole chiare e precise, uguali per tutti, astratte e generali, certe e non discrezionali. Il cittadino deve sapere quali sono i tempi, quali sono gli uffici e i passaggi che una sua richesta dovrà affrontare prima che arrivi all’esito finale.
Nel paese che vorrei non si trascurano le semplici cose. I piccoli problemi di tutti giorni e le piccole opere, le piccole feste paesane, la cultura delle tradizioni.
Nel paese che vorrei è semplice avere un’informazione. Un turista deve sapere quali eventi vi sono sul territorio con sufficiente anticipo. Un cittadino non deve sprecare tempo prezioso in coda per fare una semplice domanda.
E a voi non sembra semplice?


Francesco Poma

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Francesco, sarà bene chiudere il cassetto della memoria e della nostalgia, anche perché un mondo così non esiste.