di Marco Travaglio
Ma come parli? Le parole sono importanti!” urlava Nanni Moretti in un suo film. Su come parla Bersani ci ha illuminati ieri Barbara Spinelli, a proposito dell’etichetta di “macchina del fango” ai giornali che lo criticano.
Ma l’andazzo berlusconiano di qualificare la cronaca e la critica come “fango”, “attacco”, “veleno”, “delegittimazione” sta contagiando settori della magistratura.
L’Espresso ospita un’intervista al procuratore aggiunto e capo della Dda di Roma Giancarlo Capaldo, contitolare di quasi tutte le più scottanti inchieste degli ultimi anni. Dalla P3 a Fastweb al versante romano del caso Milanese.
Capaldo parla come i politici: si fanno “troppe intercettazioni” che finiscono col produrre “gossip” e “dossier ricattatori”, col “mettere in piazza la vita privata delle persone” e soprattutto “portano gli indagati a non parlare più al telefono dei loro traffici” (ammesso e non concesso che sia vero, siamo in pieno non-sense: se gli indagati parlassero di più ma li si intercettasse di meno, il saldo sarebbe comunque zero).
Poi attacca a testa bassa i colleghi napoletani che hanno il torto di aver raccolto a verbale le dichiarazioni di Marco Milanese, deputato tremontiano, che racconta una cena con lui e Tremonti: a suo avviso “creano processi paralleli o coincidenti” e si prestano a manovre per “delegittimare il nostro lavoro riportando alla mente l’idea del ‘porto delle nebbie’ che non c’è più”.
Poi aggiunge che fantomatiche “altre procure non vedono bene che Roma sia la sede giudiziaria più importante d’Italia, come se Roma volesse appropriarsi di cose che non le appartengono”.
Capaldo passa per il “buono” fra i capi dell’ex porto delle nebbie, che si è appena liberato del “cattivo” Achille Toro, beccato un anno fa ad avvertire alcuni inquisiti della “cricca” della Protezione civile delle indagini.
Ora però si scopre quel pranzo di metà dicembre 2010, pochi giorni dopo la notizia che Milanese era indagato a Napoli, organizzato dall’avvocato Fischetti con Tremonti, Capaldo e lo stesso Milanese.
Si dirà: Capaldo non indagava su Milanese. Già, ma proprio questo è il problema: a quel tempo la sua Procura aveva già raccolto possibili notizie di reato su Milanese.
Ne aveva parlato Marco Iannilli, arrestato per l’affare Mockbel e coinvolto nell’inchiesta Finmeccanica.
E ne aveva riparlato Fabrizio Testa, nominato consigliere dell’Enav proprio grazie a Milanese, raccontando di essersi interessato per far comprare la barca del braccio destro di Tremonti da un imprenditore in cambio della sua “protezione politica”.
Invece di iscrivere Milanese nel registro degli indagati, Capaldo ci andò a cena con Tremonti a casa Fischetti.
E sempre a casa Fischetti – racconta l’imprenditore Alfonso Gallo ai pm di Napoli – si svolsero altre cene per pilotare il trasloco delle indagini sulla P4 da Napoli a Roma.
Sarà un caso, ma a marzo di quest’anno
In effetti è curiosa quest’ansia degli inquisiti eccellenti di tutta Italia di approdare a Roma.
La città è molto bella, ma forse gli inquisiti ne apprezzano altre virtù, meno turistiche e più giudiziarie.
Capaldo, sull’Espresso, parla di un “attacco, attraverso la mia persona, anche al mio Ufficio”. Parole bizzarre, visto che a pranzo con Tremonti e Milanese ci è andato lui, non l’ufficio.
Una leggerezza? Può darsi.
È vero, come dice Capaldo, che “Milanese non era ancora indagato a Roma”. Ma lo era a Napoli, lo sapevano tutti e forse avrebbe dovuto esserlo anche a Roma (come lo fu poi per iniziativa di un altro pm romano ma di scuola milanese, Paolo Ielo). E comunque era più volte citato nei verbali raccolti dal suo Ufficio solo tre giorni prima.
Ora, per carità, può darsi che il Fodria (Forze Oscure della Reazione in Agguato) cospiri per “attaccare” e “delegittimare” il dottor Capaldo e, attraverso la sua persona, l’Ufficio. Ma se evitasse di pranzare con indagati, i terribili cospiratori faticherebbero un po’ di più.
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