giovedì 21 luglio 2011

LA LEGA HA “TRADITO” PAPA È IN CARCERE

Alla Camera decisivi i voti del Carroccio e di parte del Pdl Berlusconi furioso: “Una vergogna, noi garantisti”

di Paola Zanca

Il silenzio dura una decina di secondi. Lo interrompe solo qualcuno dai banchi del Pd: “Buoni, buoni”. Per l'aula di Montecitorio non è il momento di festeggiare: con 319 voti, hanno appena detto sì all'arresto di un deputato. Alfonso Papa, il primo ad essere “condannato” dal Parlamento per fatti non di sangue, da stanotte dormirà nella casa circondariale di Napoli. Lo volevano mandare in galera il Pd, l'Italia dei Valori, il Terzo Polo. Ma a spalancargli le porte del carcere sono stati una ventina di leghisti e “7 o 8” suoi ex compagni di maggioranza. Lui si alza subito dal suo scranno, lascia l'aula tra le pacche sulle spalle e gli abbracci di chi ha fatto di tutto per salvarlo, ma questa volta non ha potuto. Non è bastato il “super fumus persecutionis” denunciato da Francesco Paolo Sisto sconvolto dalle foto scattate a Papa dagli inquirenti “davanti al 24” (per i non addetti alla Casta, è uno degli ingressi di Montecitorio), non sono servite le arringhe di Maurizio Paniz e di Fabrizio Cicchitto: su Papa, il patto di ferro tra Lega e Pdl si è rotto. E Denis Verdini – un altro su cui la Camera dovrà decidere se dire sì o no all'utilizzo delle intercettazioni richiesto dai magistrati – non cerca di nasconderlo. Con la sigaretta pronta in mano, si allontana dall'aula e dice: “La maggioranza si è ribaltata”.

NEI CORRIDOI che circondano il Transatlantico, si incrociano facce sgomente. Maria Rosaria Rossi, la deputata che organizzava le feste per Berlusconi a Tor Crescenza, ha il volto gonfio per le lacrime. Altri deputati scuotono la testa: “Sono indignato”, “Qui non c'è più cuore”. Giorgio Stracquadanio ha già trovato i colpevoli: “Lo dirò al Cavaliere: ringraziamo Feltri e Belpietro”. Marco Milanese si infila di corsa nel “deposito bagagli”, prende la sua valigetta e scappa via. Per lui non è stata una giornata facile: per tre ore di fila, senza mai distrarsi un attimo, ha visto un film che è anche il suo. A settembre, sul banco degli imputati della Camera, al posto di Papa ci sarà lui: i magistrati napoletani che indagano sulla P4 hanno chiesto l'arresto anche per l'ex consigliere politico di Tremonti. Che ieri, come una statua di cera, è rimasto immobile, con le mani conserte ad ascoltare l'anteprima delle accuse e delle difese che passata l'estate si scontreranno su di lui.

E SONO IN TANTI a pensare che con il sì all'arresto di Papa si sia rotto un argine. Lo dice il volto nero di Berlusconi, che ha ascoltato l’appello di Papa con lo sguardo rivolto al soffitto, per poi crollare di fronte alla vittoria schiacciante del sì: “È una vergogna, noi siamo garantisti”. Lo spiegano ancora meglio le parole di Mario Pepe, il deputato di centro-destra che cambia gruppo a seconda del bisogno (prima nel Pdl, poi nei Responsabili, ora nel misto): “Prima di spingere quel bottone e aprire le porte del carcere – dice ai colleghi onorevoli – ricordate che dietro le sbarre ci andremo anche noi, nessuno escluso”. Si è speso tanto, il pallottoliere Pepe, per questo voto: è arrivato perfino a falsificare la firma di un altro responsabile, Michele Pisacane. “Non si permettesse mai più”, tuona il malcapitato mentre cancella con foga il suo nome dalla lista dei trenta deputati necessari a chiedere lo scrutinio a voto segreto. Pisacane è furibondo non solo perché lo hanno messo in mezzo senza nemmeno avvertirlo, ma soprattutto perchè non vuole che “firmiamo solo noi”. Avrebbe preferito che i 30 nomi fossero cercati all'interno di tutti i gruppi della maggioranza. Non solo da loro che, parola di Pepe, “sono già sputtanati”. Rabbia vana, perché alla fine, quando manca mezz'ora al voto quel foglio con le 29 sigle torna sul suo banco. E lui, esausto, appone la sua firma, decisiva per ottenere lo scudo dell’anonimato nell’urna e provare a mescolare le carte. Eppure quel voto segreto, chi voleva, non lo ha rispettato. Pd e Italia dei Valori hanno lanciato l'idea dell' “accorgimento tecnico”: anziché infilare nell'urna del voto tutte e quattro le dita, usare solo l'indice, spostato tutto a sinistra, dove c'è il tasto del sì. Mentre lo annunciano, Maroni applaude sommesso, picchiando il palmo della mano sul banco. E quando è il momento di votare ostenta quel dito indice ai cronisti che siedono nella tribuna alle sue spalle. Bossi non c'è, come previsto. E quell'indice di Maroni vale quanto una dichiarazione di guerra. Il capogruppo (fedelissimo del Senatur) Marco Reguzzoni, sospettato di aver votato secondo coscienza contro l'arresto, mostra ai giornalisti la foto della sua mano nell'urna. Qualche collega di partito maligna: “Siete sicuri che non l'abbia scattata dopo il voto?”. Papa ha rotto gli argini davvero: “È uno tsunami – dice ancora il leghi-sta malizioso –. Bisogna vedere quando arriva l’onda, se è alta un metro, oppure sei”.

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