martedì 19 luglio 2011

LA MANOVRA. QUELLO CHE MANCA

Come era prevedibile, l’Italia e l’Europa sono ancora nella tempesta. Memori della determinazione con cui i nonni o i genitori hanno inserito un Paese ancora arretrato fra i protagonisti dell’«età dell’oro» dello sviluppo europeo (1950-’69), gli italiani sono convinti di dare il meglio di sé nei periodi di difficoltà. D’altro canto, la capacità competitiva dei sistemi di piccola impresa durante i difficili anni Settanta e l’aggiustamento macroeconomico per l’ingresso nell’euro fra il 1992 e il 1998 hanno mostrato che il nostro sistema sa adattarsi ai vincoli esterni.

Oggi è venuto il momento di provare che l’Italia non ha smarrito queste prerogative, malgrado si sia lasciata emarginare dai processi internazionali di innovazione e di riorganizzazione produttiva fra la fine del 1998 e il 2000 e si sia condannata a una lunga fase di stagnazione nei primi anni del nuovo millennio. Nelle prossime settimane la capacità dell’Italia di partire dall’approvazione della manovra per affrontare i suoi problemi strutturali sarà, infatti, decisiva non solo per la tenuta del nostro sistema economico e sociale, ma anche per la sopravvivenza di un’Unione monetaria europea che si è mostrata incapace di elaborare una soluzione sistemica per la crisi dei debiti sovrani dei suoi membri periferici e che ha così permesso l’estendersi del contagio al nostro Paese.

Al di là dei giudizi di merito su una manovra inadeguata per il suo impatto temporale e per i suoi tratti recessivi, le vicende della scorsa settimana sono confortanti per il metodo: grazie al presidente della Repubblica, un governo pur dilaniato da tensioni interne e un’opposizione pur in debito di proposte efficaci sono arrivati a un’approvazione rapidissima e hanno contratto un impegno per il pareggio del bilancio pubblico nel 2014. Si tratta di proseguire subito tale metodo cooperativo e di sfruttare l’anno in corso e il 2012 per rovesciare i limiti della manovra con iniziative che sappiano aumentare il potenziale di crescita del nostro Paese, razionalizzare la struttura della spesa pubblica e rendere più efficienti le reti di protezione sociale senza alterare i saldi di bilancio.

Questo difficile compito richiede, fra l’altro, quattro condizioni preliminari.

Primo: è necessario che il governo abbia l’autorevolezza per segnare una discontinuità negli assetti e nei costi della politica, sia a livello nazionale che a livello locale.

Secondo: i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori devono selezionare un fattore prioritario, che sia di significativo ostacolo alla competitività e alla capacità di crescita italiana, e individuare gli strumenti atti a modificarlo; al riguardo, la mia priorità è la stagnante produttività della nostra economia.

Terzo: è necessario che gli organi tecnici del ministero dell’Economia riavviino un’analisi puntuale dei singoli capitoli di spesa (spending review), così da costruire una base condivisa di conoscenza che faciliti un ampio accordo politico sui tagli da apportare.

Quarto: bisogna riconoscere che il nostro welfare è stato disegnato per l’Italia degli anni Settanta e richiede importanti riforme per adattarsi alla nuova realtà sociale. In altre parole: non ce lo possiamo più permettere.

Marcello Messori
19 luglio 2011

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