domenica 3 luglio 2011

Manovra troppo timida per crescere

Conviene lasciarsi guidare da Giacomo Leopardi, per apprezzare pienamente la manovra varata dal governo: «piacer figlio d'affanno». In questa prospettiva il sollievo è anzi duplice, perché doppia era stata la tempesta.

Alla prima tempesta, la sconfitta elettorale, la maggioranza ha avuto la tentazione di reagire con più spesa pubblica e con una riforma fiscale in disavanzo. Se questo non è avvenuto, lo si deve alla tenacia di Giulio Tremonti e ai vincoli europei, senza i quali gli sarebbe stato forse impossibile resistere alle pressioni del presidente del Consiglio e di quasi tutto il governo. Questa resistenza ha provocato una seconda tempesta, nella maggioranza, tale da mettere in dubbio che il Consiglio dei ministri trovasse un accordo.

Invece, la manovra è stata varata, non aumenta il disavanzo e lo porta in linea con i vincoli europei. Non è detto che vi sia quiete nell'imminente discussione parlamentare, ma c'è almeno il piacere di vedere superato il duplice affanno. Se questo non fosse avvenuto, una nuova tempesta avrebbe potuto dirigersi verso l'Italia, proveniente dall'Egeo e dallo Ionio.

Riconosciuti questi meriti importanti, va detto che nella politica economica del governo, anzi dei governi Berlusconi - in carica per 8 degli ultimi 10 anni e per 7 anni ispirata e guidata dal ministro Tremonti - sono sempre più evidenti i danni arrecati dal fatto che la grande, risoluta e indispensabile determinazione contabile non è stata e non è oggi ancorata ad alcuna strategia concreta e credibile di politica economica. Se questa manca, non basta rivendicare di avere previsto - prima, molto prima di tutti gli altri - l'evoluzione del cosmo economico-sociale o di avere lanciato nuovi standard etico-legali per governare la globalizzazione. Più modesto, ma più pressante è il compito di avere una visione su come l'Italia possa conquistare più competitività, più crescita, più equità; di coinvolgere in un tale progetto le forze economiche, sociali, culturali e politiche; di attenersi ad esso nell'azione di governo.

Altrimenti, un governo può forse vincere la battaglia del numeratore ma, a causa della rivincita del denominatore, è il Paese intero che perde. Il concetto dovrebbe essere alla portata anche dei non economisti.

I vincoli europei, ma anche il buon senso, impongono di mantenere entro certi limiti il disavanzo pubblico e il debito pubblico in percentuale del Prodotto interno lordo (Pil). La battaglia del numeratore consiste per un ministro dell'Economia nel resistere alle pressioni dei colleghi che vogliono spendere di più o ridurre le imposte. È quanto Tremonti fa con coraggio e non senza, si direbbe, un raffinato piacere. In passato, soprattutto quando non c'erano ancora vincoli europei, l'incapacità o la non volontà di fare questo era la principale carenza di molti ministri del Tesoro. Nell'attuale manovra - ma il ministro lo negherà - il piacere dev'essere in parte consistito nel fare slittare sul prossimo governo la quota del costo politico del porre in atto davvero le misure per ridurre il disavanzo per il 2013 e il 2014.

E il denominatore, cioè il Pil? È ovviamente la variabile cruciale, per due motivi. Costituisce una delle misure dello stato dell'economia e del benessere dei cittadini, cioè uno dei fondamentali obiettivi finali della politica economica. Inoltre, essendo il denominatore dei rapporti disavanzo / Pil e debito / Pil, la sua crescita aiuta anche a rispettare i vincoli europei. Se invece la politica economica non vuole promuoverne la crescita, o non ci riesce, ogni sforzo sul numeratore può venire frustrato.

Purtroppo, né nel programma nazionale delle riforme né nella manovra ora varata il governo affronta adeguatamente il tema della crescita, cioè di come fare aumentare il Pil dell'Italia, che da molti anni cresce parecchio meno che negli altri Paesi europei. La Commissione europea, nelle sue raccomandazioni, ha insistito molto sulle misure necessarie a questo scopo. Ma il governo, forse per non creare scontento in categorie sociali che ancora sembrano sostenere questa maggioranza, è stato particolarmente timido. Va nella direzione giusta la liberalizzazione degli orari dei negozi (anche se sperimentale e molto limitata) ma poco o niente viene fatto per immettere più concorrenza nel settore dei servizi in generale, nelle industrie a rete (trasporti, energia, telecomunicazioni), nelle professioni. E poco viene fatto per ridurre, subito e in misura significativa, il peso sull'economia e sulla società italiana degli esorbitanti costi del sistema politico, peraltro scarsamente «produttivo» in termini di decisioni prese tempestivamente per la crescita del Paese.

Senza un forte scatto in avanti, difficilmente l'Italia riemergerà nella competizione mondiale. Triste conforto trarremmo allora dal pensare, ancora con Leopardi, che «naufragar m'è dolce in questo mare».

Mario Monti
03 luglio 2011

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Ce ne fosse uno che ha le palle per dire le cose come stanno! Questo Governo ha fallito! E' ora di sfiduciarlo! E lo devono fare tutti, specie le 'teste pensanti', i raffinati intellettuali, gli economisti di grande spessore e credibilità internazionale! Altro che citare Leopardi!