martedì 5 luglio 2011

Norma salva premier nella manovra «Sbagliata solo perché c’entro io?»

«Lodo Mondadori?». Alle sei del pomeriggio a Palazzo Chigi in molti cadono dalle nuvole. «Quale lodo, di cosa stiamo parlando?». I siti web dei quotidiani, già da un'ora, aprono i loro notiziari con la notizia, ma la sorpresa di molti membri dell'esecutivo descrive una reattività inversamente proporzionale alla grandezza del problema.

Non tutti effettivamente sapevano: erano informati alcuni ministri, che lo confermano sottovoce, ma altri no. La norma era già sul tavolo del governo il giorno dell'approvazione della manovra, nero su bianco nella bozza del provvedimento, ma non fu discussa apertamente al tavolo del Consiglio. Con un certo grado di approssimazione qualcuno nel Pdl ascrive l'ennesimo scivolone del Cavaliere ad un suggerimento tecnico dell'avvocato Nicolò Ghedini. Assolutamente falso, dice l'interessato: «Come tutti sanno non mi occupo di procedura civile, non so nemmeno come sia scritta la norma, del resto mi sembra che il provvedimento si sia formato al ministero dell'Economia...».

È difficile insomma trovare qualcuno che parli ufficialmente della vicenda, per difendere la norma. Chi sa tace. Chi era all'oscuro si scandalizza, senza mezzi termini: non per i due commi incriminati, non per il merito delle modifiche al codice, ma «per l'ennesima ingenuità del presidente». Nel governo si trovano ministri che si dicono basiti: «È veramente incredibile che qualcuno abbia pensato che potesse passare inosservata, che non scoppiasse l'ennesimo scandalo; visto che si tratta di un principio giuridico sacrosanto, e comunque difendibile con tanti argomenti, anche di prevenzione penale, bastava che qualcuno consigliasse a Berlusconi di rivendicarla, apertamente, con tanto di conferenza stampa. E invece si parlerà solo del metodo e non del merito, del presidente che come il bambino che ruba per l'ennesima volta la marmellata, un'altra norma ad personam, è incredibile...».

In assenza di reazioni ufficiali si può comunque dire che ieri Berlusconi, ad Arcore, discuteva in privato della vicenda con molta naturalezza, difendendo a spada tratta il provvedimento, come se non ci fosse alcun problema. «Non si capisce per quale motivo una norma giustissima diventa sbagliata se riguarda anche il presidente del Consiglio», diceva il Cavaliere ad alcuni degli ospiti che sono andati a trovarlo, fra gli altri Guido Podestà e il senatore Salvatore Sciascia. Argomenti non nuovi in bocca al presidente del Consiglio, che con ragionamenti simili ha difeso più volte, ad esempio, le norme sul processo breve.

Aggiungeva il premier, secondo alcune ricostruzioni, che non c'è scandalo nel prevedere che per cifre molto elevate, «al posto della sentenza di secondo grado, per giunta in presenza di una cauzione, si attenda il verdetto definitivo, quello che esprimerà eventualmente la Cassazione». Erano argomenti che però non rispondevano alle obiezioni sotterranee che nell'esecutivo in molti avanzavano. E ovvero: perché fare una cosa di questo tipo in modo «clandestino»?

Perché se il premier di solito si sfoga dicendo che «vogliono farmi fallire» (l'ultima volta al matrimonio della Carfagna); e se in queste ore aggiunge che «quei soldi» li darebbe «volentieri in beneficenza piuttosto che darli a chi non ha titolo», ovvero al gruppo De Benedetti, in ogni caso questi argomenti non hanno alcun nesso con il profilo di comunicazione scelto. Oggi probabilmente alcuni ministri, da Paolo Romani e Maurizio Sacconi, saranno chiamati a dire parole che difenderanno la norma contenuta nella manovra. Diranno certamente che esistono motivazioni giuridiche, di equità, di garanzia per le imprese; che non viene stravolto alcun principio, ma introdotta semplicemente una misura che cautela alcuni interessi aziendali e imprenditoriali che sono sacrosanti, oltre un certo valore economico della causa, e da difendere allo stesso modo degli interessi e delle legittime aspettative del creditore.

E in fondo qualcosa di simile diceva uno dei pochissimi esponenti del Pdl che ieri dichiarava sulla materia, ovvero Enrico Costa, capogruppo in commissione Giustizia alla Camera: «Nell'attuale processo civile vige il principio dell'esecutività delle sentenze non definitive. Tuttavia, in un momento di congiuntura economica sfavorevole, si è ritenuto di contemperare il diritto del creditore e le ragioni del debitore quando le somme di denaro assumono dimensioni di rilevante entità». Effettivamente un po' poco per arginare le critiche dell'Anm, del Pd e di tutta la sinistra. Quello che ieri sera spiccava era il silenzio ufficiale del governo. Mentre nell'entourage del premier si sosteneva, ufficiosamente, che la norma sarebbe stata introdotta non per volere del capo del governo ma su richiesta del ministero della Giustizia. Probabilmente una svista dato che Alfano non risulta fra i cofirmatari della manovra, né prenderà parte oggi alla conferenza stampa sul provvedimento. Di certo, in sede tecnica, un rischio di costituzionalità era stato segnalato.

Marco Galluzzo
05 luglio 2011

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

A DOMANDA RISPONDO: SI'!