lunedì 4 luglio 2011

Stop alle rinnovabili cosa rischia l'Italia


di ANTONIO CIANCIULLO

Il governo Berlusconi aveva disegnato per il paese un futuro elettrico composto per un quarto da nucleare, per un quarto da fonti rinnovabili, per la metà da combustibili fossili. Il referendum ha cancellato l’opzione nucleare, che del resto era già in ritirata a livello globale prima di Fukushima. Adesso Palazzo Chigi si autoaffonda un altro 25 per cento del progetto mandando a picco le fonti rinnovabili grazie a un taglio del 30 per cento sugli incentivi appena approvati. A tutto ciò va aggiunto il freno alle misure di efficienza energetica con lo stop and go sugli sgravi fiscali per le ristrutturazione ecologiche degli appartamenti.
Il risultato di questo assieme di misure è che il paese si trova esposto a una serie di rischi gravissimi.

Primo: le sanzioni. L’Italia si è impegnata a raggiungere entro il 2020 una produzione energetica composta per almeno il 17 per cento da fonti rinnovabili. Abbiamo 9 anni per triplicare la nostra capacità di energia pulita ma il governo si sta dando da fare per ridurla. Fallire l’obiettivo europeo significherebbe pagare sanzioni consistenti appesantendo ulteriormente il nostro precario equilibrio economico.

Secondo: la dipendenza dall’estero. L’Italia ha una dipendenza energetica dall’estero dell’85 per cento. E’ una bolletta da 63 miliardi di euro che tenderà a salire per effetto della progressiva instabilità del prezzo del petrolio. Le fonti rinnovabili invece sono alimentate da una materia prima - sole, vento, calore terrestre, biomasse - che abbiamo in casa e che, se sfruttata, ci permetterebbe di guadagnare una maggiore sicurezza energetica. Consegnare il futuro all’incerto andamento dei combustibili fossili è un azzardo che può costare caro.

Terzo: il rating dell’Italia. La credibilità del sistema Italia è visibilmente scossa dal ripetersi delle violazioni degli impegni governativi. Nel gennaio 2010 era entrato in vigore il terzo conto energia: doveva durare anni, è stato cancellato a marzo. A maggio si è provato a rimediare con il quarto conto energia: doveva durare anni, è stato rimesso in discussione a giugno. L’accordo di giugno non è arrivato a fine mese. Pochi giorni fa il Consiglio dei ministri, dopo la sollevazione di tutte le associazioni di categoria interessate, aveva infatti ritirato l’ennesimo taglio del 30 per cento, ma oggi questo taglio (secondo le notizie di agenzia) figura nel testo inviato al Quirinale.
Già a marzo il sistema di credito internazionale aveva diffidato il governo, ipotizzando un blocco dei finanziamenti all’Italia determinato dalla mancanza di credibilità: la situazione rischia di aggravarsi ulteriormente.

Quarto: l’occupazione. Lo smantellamento del settore delle rinnovabili costerebbe oltre 200 mila posti di lavoro. Mentre puntando sulla green economy, secondo i calcoli del Kyoto Club, si potrebbe avere un milione di nuovi occupati nei prossimi 5 anni.

Quinto: il mercato internazionale. La crescita delle rinnovabili è costante e progressiva: dal 2008, a livello globale, gli investimenti sulle rinnovabili hanno superato quelli sui combustibili fossili. Il 26 % della nuova potenza elettrica installata nello scorso decennio è costituito da impianti di rinnovabili. Ora si rischia di restare esclusi da questo settore trainante dell’economia mondiale.

Sesto: il clima. Paralizzando le rinnovabili l’Italia aumenterebbe le emissioni serra violando un altro impegno europeo, quello del contenimento della produzione dei gas che minacciano la stabilità del clima. Si profilano altre sanzioni e un aumento dei rischi legati alla pressione degli eventi estremi: dalle alluvioni alla siccità.

(04 luglio 2011)

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