sabato 13 agosto 2011

GLI 007 DEL FISCO GRAZIANO PROFESSIONISTI E PICCOLE IMPRESE

di Alfredo Faieta

Con Rocco Antonio Tano, meglio conosciuto col cognome d’arte Siffredi, il primo round è andato male e verrebbe anche facile la battuta se non ci fossero di mezzo i molti soldi che l’Erario pretende dall’attore porno e produttore abruzzese. L’Agenzia delle entrate, davanti alla Commissione tributaria di primo grado di Chieti, ha infatti visto soccombere le proprie richieste – qualche milione di euro tra tasse non versate, interessi e sanzioni – sulla pretesa che il domicilio reale di Siffredi sia a Roma e non in Ungheria, un paradiso fiscale per le royalties e quindi anche quelle cinematografiche.

Anche Jessica Rizzo, altra regina del porno nostrano, è finita qualche tempo fa tra le maglie del fisco in un’indagine partita lo scorso anno a Pescara e che passa per l’isola portoghese di Madeira, paradiso offshore. Che si inauguri un nuovo filone “cinematografico” di caccia all’evasore, o all’elusore come in questo caso. “Sulla caccia all’evasione della grande impresa c’è stata una certa incisività negli ultimi anni” ha riconosciuto al Fatto Quotidiano l’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco, “ma è l’evasione diffusa che rappresenta ancora il grosso dell’iceberg e sulla quale ancora non si vuole agire, per motivi che sono chiaramente di opportunità politica”. Ma toccare lo sfuggevole universo delle partite iva non è assolutamente semplice per un governo che ha fondato la propria ossatura di consenso sulla non oppressione fiscale. Un concetto non sbagliato di per sé, che è però degradato troppo spesso in impunità tributaria.

IN QUEST’OTTICA non sorprende la mossa dell’Agenzia delle Entrate che ha annunciato di aver ridotto la base di controlli a 170 mila circa dai precedenti 220 mila, tagliando le “visite” fiscali proprio ai professionisti e alle piccole imprese. Laddove si anniderebbe quell’oceano di evasione stimata in 120 miliardi di euro, pari a circa 7-8 punti percentuali di Prodotto interno lordo. Un’incidenza enorme che andrebbe riportate quantomeno alle medie dei paesi occidentali, pari all’incirca alla metà di quella italiano. La questione è sollevata tre giorni fa su La Repubblica e La Stampa da un anonimo funzionario dell’ente che, in una lettera aperta, ha accennato ai metodi di controllo ritenuti troppo laschi. Un soggetto controllato avrebbe infatti un’impunità garantita di sei mesi nel quale potrebbe essere tranquillo di non ricevere ulteriori visite fiscali. “Abbiamo diminuito la quantità per migliorare la qualità e conseguentemente concentrare l'attenzione su posizioni più a rischio”, è la risposta dell’Agenzia guidata dal 2008 da Attilio Befera, insediatosi col cambio di maggioranza. “La riduzione del 20 per cento del numero degli accertamenti, previsti nei confronti delle imprese di piccole dimensioni e dei professionisti (lavoratori autonomi), fissata nel budget 2011, infatti, ha lasciato invariato il risultato monetario atteso, cioè le somme che l’Agenzia prevede di incassare”, spiegano all’Agenzia delle entrate. Ovvero 11 miliardi, contro gli 8 che il ministero ha fissato come obiettivo minimo. Troppo poco? L’impressione è che non si faccia ancora abbastanza, e anche da ambienti della Guardia di Finanza filtra un certo malcontento per il minor coordinamento nella lotta all’evasione. In un’audizione di fronte alla commissione Finanza della Camera ad inizio anno la GdF aveva affermato di aver scovato quasi 50 miliardi di evasione nel 2010. Cifre che poi si riducono enormemente all’atto dell’incasso da parte delle Entrate.

ANCHE nella bozza di manovra varata ieri dal Consiglio dei Ministri non c’è molto sulla lotta all’evasione. Il provvedimento principale è il calo a 2500 euro per l’obbligo di pagare con metodi tracciabili come le carte di credito, gli assegni o i bonifici bancari. Erano 5000 fino ad ora, e restano pur sempre molto distanti dalle soglie del decreto Visco Bersani del 2006 che aveva le aveva portate a 1000 euro con l’obiettivo di arrivare a 100 euro per i professionisti. Ma il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, aveva abrogato quelle disposizioni.

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