LUCA RICOLFI
I nostri politici pensano che i mercati siano stupidi? E che i cittadini siano completamente rassegnati a subire qualsiasi vessazione?
Direi proprio di sì. Nelle scorse settimane, scrivendo su questo giornale, ho avuto parole piuttosto dure sulle due manovre messe a punto dal ministro Giulio Tremonti, quella di luglio e la manovra bis di agosto.
Come la maggior parte degli studiosi, le ritenevo inique, insufficienti, sbilanciate dal lato delle entrate, moderatamente recessive, carenti di misure strutturali, del tutto disattente alle esigenze della crescita.
E purtroppo la mia previsione che i mercati non si sarebbero lasciati ingannare si è rivelata fondata: né la prima manovra, né quella aggiuntiva, sembrano aver convinto gli investitori della serietà delle intenzioni dell’Italia.
Ora, tuttavia, mettendo in fila le proposte alternative dei critici della manovra, proposte che vengono sia dalle opposizioni sia dall’interno della maggioranza (in particolare dalla Lega), non posso che riconoscere: uditi i critici, era meno peggio il menu confezionato da Tremonti.
Le contro-proposte, o contro-manovre, sono infatti largamente peggiorative. Quanto a quella del Partito democratico, è difficile non condividere il severo giudizio espresso nei giorni scorsi da Tito Boeri, sulle colonne di «Repubblica»: le misure proposte dal Pd sono ancora meno incisive di quelle di Tremonti, e inoltre hanno il grave difetto di spostare il baricentro della manovra ancor più dal lato delle entrate.
Quanto alle contro-proposte del soggetto politico più agguerrito,
Primo, impedire la distruzione di poltrone riservate ai politici locali: a ciò serve la rinuncia a sopprimere i Comuni sotto i 1000 abitanti, ma soprattutto la sostituzione della misura (semplice e immediatamente attuabile) della riduzione del numero di province, con la misura (complicatissima, e indefinitamente rinviabile) della loro soppressione totale mediante disegno di legge costituzionale.
Secondo, impedire che i tagli alle risorse degli Enti locali costringano gli amministratori a spendere meno. È questo l’obiettivo principale cui sono volte proposte come l’aumento dell’Iva e la «patrimoniale contro gli evasori». Una proposta contro natura, se si pensa che la retorica della Lega è sempre stata: riduciamo gli sprechi, dando meno risorse agli amministratori inefficienti (per lo più concentrati al Sud, ma non solo).
Terzo, lasciare intatto il nostro sistema pensionistico, tuttora ricco di privilegi (a partire da quello delle pensioni di anzianità), pur di non perdere consensi fra i propri elettori: una quota molto elevata dei pensionati è concentrata al Nord.
Questo è il tipo di nobili istanze su cui i politici si azzanneranno in Parlamento nei prossimi giorni e settimane. A nessuna forza politica pare venire in mente che, se l’Italia vuole uscire dalla crisi deve tassativamente tornare a crescere e che, se non cresce, è perché mancano le condizioni strutturali che promuovono l’attività economica: non solo le riforme a costo zero, ma una pressione fiscale sui produttori accettabile, molti meno adempimenti per lavoratori autonomi e imprese, una giustizia civile rapida, una burocrazia meno ubiqua ed opprimente. D’altronde la spudoratezza con cui le forze politiche eludono il problema della crescita ha la sua base nella immaturità dei cittadini-contribuenti. L’unico tema che sembra davvero appassionare i cittadini è chi dovrà pagare di più: il Nord o il Sud, i pensionati o i lavoratori, i dipendenti o gli autonomi, i ricchi o i poveri, gli evasori o gli onesti. Mentre il punto centrale per il futuro di tutti noi è un altro: non tanto se le misure saranno giuste, ma se saranno efficaci. Ed è su questo, solo su questo, che - temo - ci giudicheranno i mercati.
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