lunedì 8 agosto 2011

In cerca di leader


Dopo la Grande Recessione del 2008-2009 due cose ci si doveva aspettare dai leader dell'Occidente. Primo: il riconoscimento della gravità della situazione e la dimostrazione di voler e saper affrontare i problemi con urgenza e non rimandarli, ovvero un atteggiamento di lungimiranza al di là delle scadenze elettorali. Secondo: la capacità di ricucire contrasti e interessi di parte per favorire il bene comune. La classe politica dell'Occidente, al di qua e al di là dell'Atlantico, ha fallito su entrambi i punti e passerà alla storia come, collettivamente, una delle peggiori del secondo dopoguerra.

La lungimiranza è un bene che è mancato alle classi politiche in
Italia, Europa e Stati Uniti. Nel nostro Paese si parla da anni della necessità di dare una sferzata all'economia. Si diceva da tempo che l'approccio ragionieristico ai conti pubblici con un aumento di quel balzello o di quel taglio alle spese che entri in vigore non prima delle prossime elezioni non basta e che ci vogliono riforme per la crescita. Si è dovuti arrivare proprio fino sull'orlo del baratro perché il governo desse un segno di vita venerdì scorso con la conferenza stampa del premier e del ministro dell'Economia. La proposta più «rivoluzionaria» è l'introduzione nella Costituzione di un vincolo di bilancio in pareggio, le idee per la crescita vanno nella direzione giusta anche se i dettagli sono da definire. Vedremo oggi se i mercati si calmeranno, ma è chiaro che queste decisioni andavano prese molto prima.

In Europa un anno e mezzo fa si sarebbe dovuta risolvere in un modo o nell'altro, ma radicalmente, la crisi greca con un ripudio o con un «bailout» (salvataggio) totale. E invece i leader (si fa per dire) europei si sono dilaniati in discussioni che nulla hanno fatto se non trascinare i mercati nel caos. Il Presidente e il Congresso americano hanno perso gran parte della loro credibilità con un pessimo spettacolo di tira e molla fino all'ultima ora sotto la spada di Damocle di un ripudio del debito. Tutti sapevano che alla fine si sarebbe trovato un mediocre escamotage, come infatti è avvenuto. Il risultato è stato che Wall Street è crollata e Standard & Poor's per la prima volta nella storia ha declassato il debito americano. I cinesi, che ne detengono una montagna, sono nervosi e furiosi. Ma c'è di più. La vera crisi fiscale è lo tsunami causato dall'invecchiamento della popolazione. Ne parla qualche politico? Certo che no: è troppo costoso, gli anziani (attuali e quelli che lo saranno a breve) sono una fonte di voti critica, mentre le generazioni future non votano, quindi non contano per questa mediocre leadership che la storia condannerà come non all'altezza dei problemi, gravi e complessi che abbiamo di fronte.

Ma i grandi leader si vedono appunto nei momenti difficili, non quando è tutto facile per cui un'ordinaria amministrazione è sufficiente! Infatti, una delle doti di un grande politico è quella di saper smussare i contrasti e dirigere un Paese in una direzione precisa, mettendo il bene comune al di sopra degli interessi di parte in un momento di crisi. Se qualche leader odierno ci è riuscito, batta un colpo. Io non ne vedo, compreso Silvio Berlusconi. La mancanza di leadership e di idee anche nell'opposizione è scoraggiante. In Europa i leader dei Paesi a rischio non hanno trovato di meglio che accusare i tedeschi per nascondere le loro manchevolezze. I francesi hanno cavalcato questi sentimenti visto che il deficit pubblico francese fa paura e prima o poi i mercati se ne accorgeranno. La Merkel ha dimostrato di capire poco di mercati finanziari e le sue prese di posizione erratiche non hanno aiutato. Negli Stati Uniti l'atteggiamento anti-business e populista del presidente e di Nancy Pelosi e l'estremismo del Tea Party hanno indebolito quell'ala moderata dei «new democrats» di Bill Clinton e dei repubblicani del Nord Est, laici e liberisti.
Insomma, ridateci Einaudi, De Gasperi, Thatcher, Reagan, Clinton, Blair e Kohl prima che sia troppo tardi.

Alberto Alesina
08 agosto 2011

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