venerdì 12 agosto 2011

La reazione a un dramma indicibile

FERDINANDO CAMON

Tutte le lingue hanno la parola per indicare chi perde il coniuge, ed è «vedovo», hanno la parola per indicare chi perde un genitore, ed è «orfano», ma nessuna lingua ha inventato la parola per indicare il genitore che perde un figlio. Perdere un figlio è un dolore così estremo, così totale, che svuota l’esistenza, la rende assurda e impossibile. Prima avevi un senso, ora non l’hai più. La lingua si rifiuta di battezzare con una parola questa condizione, perché si rifiuta di accettarla. Per un genitore, perdere un figlio è l’indicibile perché è l’inaccettabile.

A Sovico, paesotto di ottomila anime della Brianza, un ragazzo di 18 anni è stato ucciso in una lite per stupidi motivi, durante una partita a carte, da un coetaneo, anzi un po’ più giovane, 17 anni, con una scheggia di bottiglia che gli ha tagliato la carotide. La madre, subito informata, ha avuto una reazione così sublime da apparire inintelligibile. Ha detto: «Sono straziata per la mia sorte, ma mi dispiace anche per il ragazzo che ha commesso questo delitto e per i suoi genitori, per tutto quello che da adesso in poi dovranno sopportare e superare per tutta la vita».

Pare, a chi giudica d’impulso, una reazione non materna: nessuna madre reagirebbe così, ogni madre vorrebbe riavere la vita del figlio, e poiché questo è impossibile, vorrebbe che chi gli ha tolto la vita perdesse quel che può perdere della propria vita. Suo figlio ha perso tutto, un altro figlio deve perdere il massimo. Lei madre soffre la massima pena, un’altra madre deve soffrire una pena equiparabile. Ma questa sarebbe una reazione da madre che vive una parte del lutto, la parte che la riguarda. Qui il lutto è più grande. Riguarda tutti i membri del gruppo. Anche gli amici del figlio, che gridano: «Date a noi l’assassino, sappiamo cosa farne»: pronti all’occhio per occhio.

Quando senti questa reazione, hai l’impressione che chi ha ucciso non sia molto più cattivo delle vittime, semplicemente le ha battute sul tempo. Questa madre non è così. Lei sente che in quella disgrazia s’è bruciato un gruppo di diciottenni, il povero morto senza ragione, il povero assassino senza motivi, gli amici del figlio, pronti alla vendetta. Questa madre soffre l’assurdità di una tragedia come questa, che la lingua non sa battezzare, e che è più vasta del singolo delitto: è assurdo morire così, assurdo uccidere così, assurdo per suo figlio non esserci più, assurdo per tutto il resto del mondo esserci ancora.

Lei sente che qui scatta per lei la condizione-che-non-ha-nome, ma per gli altri scattano condizioni che hanno nomi sbagliati.

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