venerdì 5 agosto 2011

L'imprenditore che non capisce l'azienda Italia


BILL EMMOTT

La turbolenza dei mercati finanziari è tale da farci quasi dare ragione al presidente del Consiglio: l’Italia appare come la vittima di questa crisi, non come la sua causa. Perché in parte è vero: la crescita economica si sta indebolendo ovunque nel mondo ricco, l’America ha evitato il default del debito, ma solo attraverso un compromesso fragile e i governi della zona euro non sono riusciti a dare una soluzione esauriente al problema della Grecia, l’incapacità di rimborsare i propri debiti. Ma non siate troppo solidali con Silvio Berlusconi. L’Italia, o meglio il suo governo, ha la sua parte di colpa.

Il presidente del Consiglio ha ricordato al Parlamento che lui è un uomo d’affari. Ma poi ha dimostrato di aver dimenticato ciò che un business di successo richiede: la conoscenza dei ricavi dell’azienda, il controllo dei suoi costi, e una gestione che abbia un piano strategico credibile. Nel suo attuale ramo d’impresa, e cioè il governo dell’Italia, egli non ha messo in opera nessuna di queste tre cose. Ecco perché l’Italia oggi è nell’occhio del ciclone.

Il premier ha dimostrato di non capire l’amministrazione dei ricavi quando ha sostenuto che l’Italia è solida perché le famiglie italiane hanno risparmi elevati e debiti bassi.

Questo è vero ma irrilevante dal punto di vista delle finanze del governo, perché quei risparmi a nulla servono per incrementare i suoi ricavi, e poco per rendere più facile il prestito, perché la maggior parte dei titoli vengono acquistati dalle banche e dagli stranieri.

Citare i risparmi delle famiglie come un punto di forza per le finanze pubbliche è come per un uomo d’affari citare la ricchezza dei suoi clienti o dei suoi dipendenti come prova della solvibilità della sua azienda. L’unico modo in cui questi risparmi privati potrebbero essere d’aiuto si verificherebbe se il governo dovesse aumentare drasticamente le imposte per aumentare i ricavi, o se obbligasse le famiglie a comprare il debito pubblico. Sicuri che solo i comunisti prenderebbero in considerazione una cosa del genere?

Egli non ha il controllo dei costi del governo, perché la manovra fiscale recentemente presentata dal suo ministro dell’Economia è rimasta vaga su come ridurre la spesa e ha differito i principali tagli fino a dopo il 2013. Ancora più importante, tuttavia, è il fatto che non può avere il pieno controllo perché il governo italiano è un grande debitore che anche con gli oneri finanziari ultimamente così bassi sta pagando il 4% del Pil ogni anno per i debiti di servizi che raggiungono il 120% del Pil, il secondo più alto nella zona euro dopo la Grecia. Se i mercati obbligazionari domandassero tassi di interesse più elevati per compensare i rischi che si assumono nel gestire il debito italiano, allora tali spese per gli interessi aumenterebbero, e non c’è nulla che il governo possa fare al riguardo.

Come la maggior parte dei leader politici intrappolati in questa situazione, il presidente del Consiglio ha accusato gli speculatori. Ma in quanto uomo d’affari deve conoscere la differenza tra speculatori e investitori o finanziatori. Sono gli investitori e i finanziatori che stanno causando problemi all’Italia, perché la valutano a rischio o incapace di buone prestazioni. Un buon imprenditore avrebbe risposto presentando a questi investitori un piano strategico credibile e spiegando come intendeva aumentare i ricavi e controllare i costi: in altre parole, stimolare la crescita economica e ridurre le spese. Ma un piano del genere non esiste, e questo governo ha perso ogni credibilità sulla sua capacità di produrne uno.

Il presidente del Consiglio ha ragione, questo sì, a chiedersi: perché ora? Il mio governo non è mai stato credibile, potrebbe dire per essere perdonato, perché proprio adesso i mercati finanziari si sono messi a fare questo casino?

La risposta è, in parte, che i mercati si comportano come branchi di animali, corrono tutti insieme nella stessa direzione, rassicurandosi così l’un l’altro. La tendenza occidentale, in questo luglio e agosto, è chiaramente cattiva: rallentamento della crescita, problemi crescenti di debito, politica disfunzionale, in molti Paesi, all’improvviso, e il branco è in fuga da questo.

L’altra risposta è l’euro. È ironico, in un certo senso. Quando fu lanciata la moneta unica, nel 1999, i suoi sostenitori dicevano che avrebbe avuto due grandi effetti: sarebbe servito come strumento di pressione sui Paesi membri perché liberalizzassero le loro economie per compensare la perdita di svalutazione della moneta come strumento politico; e avrebbe dato una disciplina ai mercati obbligazionari richiedendo tassi di interesse più elevati ai Paesi a maggior rischio.

Nulla di tutto questo è accaduto durante i primi dieci anni di corso della moneta, ma ora questi effetti si stanno entrambi manifestando. È solo che stanno accadendo più improvvisamente e violentemente di quanto chiunque vorrebbe.

Inoltre, la pressione per la liberalizzazione e la disciplina dei mercati obbligazionari è rafforzata dall’esatta natura delle operazioni di soccorso che la Germania sta conducendo per la Grecia. Il vertice di emergenza del 21 luglio ha concordato su un nuovo salvataggio, ma anche sul fatto che il debito della Grecia debba essere ridotto facendo sì che i creditori privati estendano la durata delle loro obbligazioni e accettino tassi di interesse più bassi.

Vedendo questa proposta, che non è ancora pienamente attuata, agli investitori viene naturale chiedersi: se dobbiamo sopportare questi fardelli per la Grecia, per chi altri potremmo doverlo fare questo in futuro? La risposta, naturalmente, è chiunque abbia debiti di governo così alti da poter diventare insostenibili nei prossimi anni. In altre parole, l’Italia. Perché l’unica cosa veramente solida è il livello elevato del debito del governo.

[Traduzione di Carla Reschia]

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