domenica 21 agosto 2011

Quei dieci anni scaricati sulle spalle dei precari


FRANCESCA SCHIANCHI

Per l’universo mondo, tutto è cambiato con la riforma Dini del 1995 e l’avvio del sistema contributivo di calcolo della pensione. Per tutti tranne qualcuno, perché si sa, in Italia è più diffusa l’eccezione della regola: e così c’è anche chi, pur avendo iniziato a lavorare ben dopo la fatidica data, avrà una pensione calcolata con il sistema retributivo. Sembra burocratese, ma pesa assai sull’assegno visto che quello retributivo è notevolmente più pesante.

E chi sono i titolari di questo privilegio? I dipendenti degli organi costituzionali. Per capirci, i commessi, gli uscieri, gli impiegati di Camera e Senato, del Quirinale come della Corte Costituzionale o del Consiglio di Stato, solo per il fatto di essere stati assunti lì anziché altrove, avendo sistemi previdenziali interni godono di condizioni a parte come, appunto, un sistema di calcolo della pensione rottamato per gli altri da 16 anni, che si calcola non sui contributi effettivamente versati ma sulla più favorevole media degli ultimi stipendi.

Uno scherzetto che, denuncia
Mario Giordano nel suo “Sanguisughe”, costa ad esempio al Senato (dove questo sistema vale per gli assunti prima del 2007) 133mila euro l’anno per le pensioni di 628 ex dipendenti, circa 13 volte più di una pensione media Inps. Restando tra stucchi, velluti e privilegi dei Palazzi romani, si sa che i parlamentari non devono sudare troppo per avere lauti vitalizi: bastano cinque anni di voti in Aula per incassare un assegno che va dal 20 al 60% dell’indennità lorda (cioè all’incirca tra 1700-1800 a 2800-2900 euro al mese), a partire dai 65 anni ma con la possibilità di scendere anche a 60.

E meno male che il regolamento è stato un po’ cambiato: gli eletti alla Camera prima del '96 potevano far scendere l’età della pensione anche a 50 anni. E non se la passano male neppure i colleghi dei “parlamentini” regionali, i cui vitalizi sono regolati da leggi regionali e variano da una zona all’altra, con la possibilità anche di incassare assegni che sono l’80% dell’indennità mensile lorda, e per qualcuno già a 55 anni. Il sistema retributivo, dunque, non tramonta mai nei Palazzi del potere (è stata bocciata in occasione della precedente manovra la proposta del Pd di passare al sistema contributivo). Per tutti gli altri (o quasi), le cose sono cambiate a partire dal 31 dicembre 1995: con quel sistema sono rimasti tutti coloro i quali avevano già maturato 18 anni di contributi.

Così, «dal 2014-2015 avremo i primi pensionati andati con sistema misto, e solo intorno al 2035 tutti quelli che andranno in pensione lo faranno col sistema contributivo», calcola
Giuliano Cazzola, deputato del Pdl, grande esperto di previdenza. Che ricorda un dato: «Facendo il saldo tra contributi versati negli anni di lavoro e assegni incassati in pensione, chi è andato col sistema retributivo ha ricevuto un regalo di circa 8-9 anni. Fra gli autonomi la differenza a favore del lavoratore è anche di 20 anni». E infatti il sistema è cambiato, anche se restano sul groppone alcune facilitazioni inimmaginabili oggi, ma ormai concesse.

Vedi il caso dei famosi baby pensionati: dalle signore ritirate dal lavoro trenta-quarantenni, ex impiegate pubbliche con figli a cui, grazie al decreto 1092 del 1973, veniva concesso lo stop dal lavoro con 14 anni, sei mesi e un giorno di lavoro, agli statali che si dedicavano alle bocce nel fiore dell’età, dopo appena 19 anni, sei mesi e un giorno di lavoro. Scelte destinate a pesare parecchio sul bilancio della previdenza: queste persone sono oggi oltre mezzo milione, con un’età media tra 63 e 67 anni e un costo per lo Stato di circa 9,5 miliardi l’anno.

E la beffa è che a saldare il conto ci pensano oggi proprio quelli che, nel mondo del lavoro, hanno meno tutele e la prospettiva di tempi cupi. Ricorda Alberto Brambilla, presidente del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale, organo istituito presso il Ministero del Lavoro, che dagli ultimi dati la gestione separata Inps, composta perlopiù da giovani Co.co.co., è in attivo di circa 6,4 miliardi. Che serve a coprire altre gestioni in passivo: dai coltivatori diretti (circa 3 miliardi) al fondo clero o degli artigiani. Bel destino per i giovani precari: pagare laute pensioni a chi, in altri tempi, non ha rispettato un patto generazionale.

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