venerdì 2 settembre 2011

Bersani non firma la sua gente sì


IL SEGRETARIO CONTRARIO AL REFERENDUM ANTI-PORCELLUM

di Caterina Perniconi

Ovunque venga allestito un banchetto per raccogliere le firme contro la legge elettorale “porcata” si crea una lunga e ordinata fila. Tutti in attesa di poter partecipare attivamente all’abolizione del privilegio che hanno i partiti di potersi scegliere i parlamentari con le liste bloccate.

Martedì sera, a Modena, il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, ha ribadito dal palco della Festa democratica che il referendum è solo “l’estrema ratio” di un percorso che prevede prima una battaglia parlamentare sulla proposta presentata dal suo partito. Mentre parlava, due ore di comizio, al banchetto allestito nel gazebo accanto i militanti avevano firmato più di 1000 volte. Perché nonostante la battaglia che si consuma nei democratici tra chi organizza e sostiene il referendum, (cioè i prodiani e ormai anche tutta l’area veltron-franceschiniana del partito) e i bersaniani, i loro elettori chiedono a gran voce di partecipare. E i dirigenti sul territorio l’hanno capito, tanto che sulla scia di importanti endorsement a favore della consultazione, come quello di Romano Prodi, hanno dato la loro adesione i presidenti di regione e i sindaci di grandi città, a partire da Vasco Errani e Piero Fassino.

“Se dovessimo basarci sulle richieste di moduli che abbiamo ricevuto – spiegano gli organizzatori – dovremmo essere già tranquilli: di solito per un referendum se ne stampano 70mila, noi siamo già a 150mila. E considerando che ogni modulo contiene 20 firme potremmo aspettarcene più di 2 milioni. Purtroppo, però, il tempo è poco”. Infatti la scadenza per la presentazione è il 30 settembre. E mentre Arturo Parisi, promotore tra i più attivi nella raccolta, incassa l’adesione di Idv, Sel e anche di Futuro e libertà, il Pd vacilla per il colpo ricevuto dalla sua base che chiede a gran voce l’abolizione della legge e non cede.

MA COSA DICE la proposta del Pd su cui Bersani vuole puntare tutto in Parlamento? Nel disegno studiato da Luciano Violante, responsabile per le Riforme del partito, si propone di eleggere i parlamentari per il 70% con collegi uninominali a doppio turno e per il 30% col proporzionale.

Allora cosa cambierebbe dal Mattarellum (legge a cui si tornerebbe se passasse il referendum) che prevede la stessa formula con una proporzione 75%-25%? Il cavillo ipotizzato dal Pd sta proprio nella dicitura “doppio turno”. Ovvero, se il parlamentare non viene eletto subito nel collegio elettorale, i democratici potrebbero presentarsi al primo turno col loro simbolo e al secondo, risultati alla mano, stringere le alleanze necessarie. Senza quindi doversi alleare prima sotto un simbolo comune tipo “Ulivo” o “Unione”.

Ma per Bersani è difficile ottenere un risultato simile in Parlamento, tutto a vantaggio del Pd, senza una forte maggioranza.

LA GIUSTIFICAZIONE ufficiale, invece, è un’altra e la spiega Violante: “Ho lavorato riservatamente per circa un anno con un gruppo di importanti costituzionalisti italiani sull’ipotesi referendum al fine di sollecitare un processo di riforma della legge elettorale. Ma dopo averlo studiato molto a lungo e seriamente abbiamo rilevato che con altissima probabilità la Corte Costituzionale lo avrebbe dichiarato inammissibile non riconoscendo il principio di riviviscenza e questo avrebbe potuto comportare una sorta di conferma dell’attuale legge elettorale, una delle cose peggiori che possa accadere”. Insomma, anche per Violante, una possibilità che il referendum sia ammissibile c’è. E in caso di fallimento di una riforma fatta in Parlamento, sulla quale solo l’Udc contraria al Mattarellum sembra interessata a dialogare, ci sarebbe sempre la carta consultiva da giocare.

“Non posso che rinnovare l’invito alla dirigenza del Pd a superare le esitazioni e ascoltare la base – ha detto Parisi – nelle Feste democratiche dove portiamo i banchetti la gente ci chiede ‘perchè non siete venuti prima?’. Bersani deve guardare il calendario, il tempo stringe e l’unico a rimetterci sarebbe lo stesso Partito democratico”. Oggi è convocato il coordinamento nel quale Bersani avrà nodi più complicati da sciogliere, dalla manovra al caso Penati, ma lo scontro interno non escluderà il referendum. La soluzione che il segretario potrebbe accettare è quella di dare il via libera alla raccolta delle firme nelle Feste democratiche, senza però le bandiere del partito. E c’è già chi dice che il referendum sull’acqua non ha insegnato niente a questa classe dirigente che, con una legge come il Mattarellum, per la prima volta potrebbe andare a casa in blocco.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Pare esserci nel PD molta coscienza sporca a la tendenza a dirigere ed essere diretti dal 'controllo remoto'.