mercoledì 7 settembre 2011

GHEDINI PROVA A SALVARE LA BARACCA


Tenta di fermare le intercettazioni di B.

di Fabrizio d’Esposito e Rita Di Giovacchino

Tutto crolla, ma l’ossessione è sempre la stessa: lo sputtanamento da intercettazioni, che lo insegue ormai da quattro estati (da quando, cioè, nel 2008 voleva varare un decreto legge per bloccare le misteriose conversazioni hard su tre ministre del suo governo). Commissariato dall’Europa, da Giorgio Napolitano e Gianni Letta, da Mario Draghi, ricattato dalla sua corte di nani e veline che persino Giuliano Ferrara ha condannato, Silvio Berlusconi ha una sola vera paura: una nuova ondata di intercettazioni sulle sue serate “eleganti”, da Arcore a Palazzo Grazioli.

IL TERRORE corre sul filo, al punto che l’avvocato-maggiordomo Niccolò Ghedini ha scritto un’incredibile lettera alla Giunta per le autorizzazioni della Camera dei deputati. In piena bufera finanziaria ha deciso di giocare nuovamente la carta del conflitto di attribuzione nella mai perduta speranza di evitare il processo Ruby a Milano. Pochi giorni fa il deputato del Pdl Ghedini ha depositato una lettera alla Giunta sul tema delle intercettazioni che riguardano Ruby, Nicole Minetti, la Polanco e altre Olgettine. L’obiettivo è quello di giungere a una richiesta di “inutilizzabilità” in sede processuale delle conversazioni telefoniche e ambientali che riguardano il premier, nonostante la pm Ilda Boccassini abbia sempre negato l’esistenza di intercettazioni che lo coinvolgano direttamente.

La richiesta è contenuta nella lettera trasmessa alla Giunta per le autorizzazioni, presieduta da Pierluigi Castagnetti, che oggi stesso la renderà nota ai componenti dell’organo parlamentare. Si preannuncia un dibattito molto acceso, in ambienti dell’opposizione si sostiene infatti che sia una “richiesta impropria” sulla quale la Giunta non avrebbe alcuna competenza a decidere dal momento che le medesime intercettazioni non coinvolgerebbero in maniera diretta o indiretta alcun parlamentare. Il presidente Castagnetti sembra orientato a far eventualmente assorbire tale richiesta nel precedente conflitto di competenza, lasciando alla Corte Costituzionale il compito di decidere. Come quando, per la vicenda della “nipote di Mubarak”, la Camera decise con 314 voti a favore di inviare gli atti alla Corte Costituzionale, credendo fermamente che B. fosse intervenuto nella sua qualità di presidente del Consiglio per salvare l’Italia da un incidente diplomatico.

IN OGNI CASO, l’imperativo a Palazzo Grazioli è uno solo: fare presto. Il processo è alle porte, la prima udienza è prevista per il prossimo 3 ottobre e benché sia “ a rischio sospensione” dopo la pronuncia della Corte Costituzionale sulla ammissibilità del conflitto di competenza, sollevato alla Camera nei confronti della Procura di Milano, c’è sempre il rischio che il Tribunale decida di procedere in attesa della decisione prevista tra qualche mese. E se a Napoli B. compare come parte lesa di ricatti ed estorsioni, a Milano è imputato di concussione e prostituzione minorile.

Il premier, raccontano nella sua cerchia, appare sempre più come “un uomo provato” e rinchiuso nel suo bunker, dove un altro ritornello con cui martella la pazienza dei suoi ascoltatori riguarda l’assegno da 560 milioni di euro firmato per il risarcimento Sme a Carlo De Benedetti. Una vicenda, peraltro, che ha segnato l’inizio di questa ennesima estate orribile per il Cavaliere. Poi esplosa con la grottesca sceneggiata sulla manovra economica, che ha messo a nudo l’inadeguatezza del premier e della sua maggioranza. L’ultimo atto ieri, che contraddice tutte le altre buffonate precedenti consumate sulla pelle del Paese. A partire dalla fiducia al provvedimento, che lo stesso Berlusconi fino a pochi giorni fa smentiva. A smuovere il pantano di bugie e litigi del centrodestra, è stato ancora una volta il Colle.

L’APPELLO dell’altro giorno a fare presto è stato ripetuto più volte da Letta a B. La prova di quello che il falco berlusconiano Giorgio Stracquadanio già denunciava il 22 luglio scorso: “Dal 14 dicembre siamo paralizzati, ci facciamo dettare l’agenda o dalla magistratura o dal capo dello Stato che ci ha commissariato”. L’agosto nero della crisi ha completato questo quadro di disfacimento. Ad archiviare di fatto programmi e promesse del governo è la fatidica lettera della Bce di Trichet e Draghi con cui viene imposta la manovra lacrime e sangue. L’asse franco-tedesco fa dire, sul Corriere della Sera, al di solito prudente Mario Monti, da anni aspirante premier tecnico, che “l’Italia ha accettato un governo tecnico sovranazionale”, indicato anche come “podestà forestiero”. Più chiaro di così.

Per settimane, B. si è tenuto lontano da telecamere e dichiarazioni ufficiali, stretto anche nella tenaglia Bossi-Tremonti. E quando gli è toccato metterci la faccia controvoglia si è presentato agli italiani dicendo: “Il mio cuore gronda sangue per aver messo le mani nelle tasche degli italiani”. Era il 12 agosto. Da allora è stato un susseguirsi di buffonate sotto dettatura. Anche perché i problemi, per B., sono altri. Personali, tanto per cambiare.

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