lunedì 5 settembre 2011

Il nuovo lessico del premier da regressione a grottesco tramonto


FILIPPO CECCARELI

"ALL'ERTA, all'erta, siamo nella merta" cantava Mino Maccari in un'epistola in versi al suo amico Flaiano. Erano gli anni cinquanta, a loro modo spensierati, ma quando più tardi il ministro delle Finanze Visentini si ritrovò a ripetere questa buffa filastrocca, già le condizioni finanziarie dell'Italia si erano aggravate e la constatazione di Maccari aveva acquistato realismo.

"Chi la fa, la copra" esortava del resto Amintore Fanfani negli anni sessanta. Ma anche qui, a parte l'antica arguzia di storpiare o addirittura di silenziare quella parola così evocativa, si avverte una vertigine non solo linguistica, ma anche di senso rispetto al berlusconismo fecale. Che ormai del tutto sganciato dalla sua stessa affettatissima tele-cortesia ("mi consenta") si risolve in scontato vittimismo e banale volgarità. Per cui, astutamente rifornito di scheda telefonica panamense intestata a un cittadino peruviano, il presidente del Consiglio ha confidato al suo personale consigliere per la Sicurezza Lavitola, ai pm di Napoli che l'ascoltavano in presa diretta e a milioni di cittadini e spettatori che l'Italia è un paese di ... Esatto, di quella cosa lì.

L'innominabile argomento suscita una cupa allegria, al solito rinforzata dalle giustificazioni berlusconiane del giorno dopo: "Sono cose dette a tarda sera" (in analoga circostanza di autocommiserazione intercettatoria il Cavaliere fece prezioso riferimento a una presunta "sfera onirica"). Sennonché l'irruzione nel discorso pubblico della materia organica più ripugnante, dello scarto per eccellenza, del prodotto meno trattabile del metabolismo costringe i più diligenti e spregiudicati fra gli osservatori dell'immaginario politico a immolarsi alla ricerca delle ragioni per le quali, insomma, da qualche tempo quella cosa lì stia saturando, per non dire che ha già abbastanza imbrattato, ammorbato e intasato la vita pubblica italiana non solo sul piano astratto delle parole e dei simboli, ma anche nella sua pratica e disgustosa concretezza.

E si potrà a tale proposito richiamare Freud, la regressione di un intero paese a livello anale; come pure si potrebbe continuare almanaccando attorno al realismo grottesco e carnevalesco o all'abbassamento della festa stultorum teorizzato dal grande critico russo Michail Bachtin. Ogni opinione è libera, come s'intuisce d'altra parte soffermandosi su alcuni passaggi del discorso di Bossi a Pontida: "Berlusconi si era cacato addosso"; come pure a quell'altra recentissima perla barese di Gianpi Tarantini secondo cui lo stesso presidente, al pensiero che certi altarini venissero fuori, "stava cacato nelle mutande".

E' che per restare ai fatti - e senza inoltrarsi necessariamente nel pur affollatissimo repertorio di illustri stanze da bagno che di recente hanno ospitato controversie e/o sono state filmate e anche fotografate di straforo - ecco che da una fredda indagine emerge che sterco, letame ed escrementi, tanto di origine animale che umana, sono stati segnalati: nell'ascensore del ministro delle Finanze (periodo Visco), sulle pareti degli uffici del gruppo parlamentare dell'Italia dei Valori a Palazzo Raggi, davanti al maestoso portone di Palazzo Grazioli e due anni dopo davanti al più modesto ingresso della sede del Pdl a via dell'Umiltà, ma con vaso da notte e volantino esplicativo e illustrato.

Poi, con diverse motivazioni, lo stesso odioso e rivoltante materiale che si trova nel XVIII canto dell'Inferno è comparso sotto casa del presidente della Lazio Lotito e del ministro dell'Istruzione Gelmini; quindi ha fatto inconfondibile mostra di sé sulla targa della segreteria di De Magistris a Catanzaro; e infine nei primi giorni della crisi finanziaria - ma l'elenco è sicuramente manchevole - varrà la pena di menzionare l'iniziativa di una signora, Vincenza Cavalluzzi, che con il l'incoraggiamento e il patronage di Sgarbi ha messo in vendita le proprie feci con l'etichetta "Merda fallita Lehman Brothers" nei pressi della Consob.

"La politica - scolpì a suo tempo Rino Formica - è sangue e merda". L'impressione, trent'anni dopo, è che il sangue sia definitivamente e forse anche fortunatamente evaporato, mentre la deriva bassa della biopolitica e del populismo vittimistico continuano a produrre quell'altro elemento in gran quantità. E non è giusto, né tanto meno è confortante sentirselo ripetere da chi ne ha tratto il più spregevole vantaggio.

(03 settembre 2011)

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