È la mossa a sorpresa che potrebbe riaprire la partita. Non c'è più soltanto l'estorsione nella vicenda che ha portato agli arresti Gianpaolo Tarantini e sua moglie Nicla, mentre rimane latitante il faccendiere Valter Lavitola. Adesso i magistrati di Napoli ipotizzano anche un reato da contestare a Silvio Berlusconi. E così rimettono in discussione pure la questione della competenza. Induzione a rendere dichiarazioni mendaci: questo l'addebito contro il premier, che potrebbe essere formalizzato nelle prossime ore. I pubblici ministeri attendono il giudizio del tribunale del Riesame, ma appaiono determinati a procedere con l'iscrizione nel registro degli indagati accusando il presidente del Consiglio di aver «pilotato» i comportamenti processuali di Tarantini in cambio di soldi e altre utilità.
Accade tutto ieri mattina, di fronte al collegio che deve decidere sulla scarcerazione di Tarantini chiesta dai suoi legali Alessandro Diddi, Piergerardo Santoro e Ivan Filippelli. I difensori hanno già incassato la decisione del giudice che trasferisce il fascicolo nella capitale, dunque si concentrano sull'istanza che sollecita il ritorno in libertà del loro assistito. Danno per scontato, come evidenzia Diddi, che non si debba neanche tornare a discutere questo punto, anche tenendo conto che gli atti sono già stati inviati alla Procura di Roma dove i coniugi Tarantini e Lavitola sono già stati indagati per lo stesso reato di estorsione. Puntano soprattutto sul fatto che abbia risposto a ben tre interrogatori, mostrando la massima collaborazione. E invece è proprio da quelle sue dichiarazioni che l'accusa - sostenuta da Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Greco - fonda il cambio di orientamento. Nei verbali Tarantini afferma infatti che Berlusconi non sapeva che le ragazze reclutate per le sue feste fossero prostitute e soprattutto giura che i soldi ricevuti erano soltanto un prestito per avviare una nuova attività.
«È una versione falsa - sostengono i pubblici ministeri - smentita dagli interrogatori dei testimoni, primi fra tutti i collaboratori più stretti di Berlusconi». Woodcock paragona il capo del governo che giura di non essere ricattato e di aver aiutato una famiglia in difficoltà «a coloro che vengono accoltellati e invece sostengono di essersi tagliati mentre affettavano il pane». Poi depositano gli atti dell'inchiesta di Bari sullo sfruttamento della prostituzione che dimostrano come il premier fosse informato dei pagamenti delle donne e vi avesse in parte contribuito. Ricordano l'elenco delle utilità ottenute da Tarantini: almeno 20 mila euro al mese nell'ultimo anno, 500 mila euro attraverso Lavitola (anche se quest'ultimo ne ha trattenuti 400 mila), la tutela legale e il lavoro. Poi sferrano il colpo: «È stato Berlusconi a indurre l'indagato a mentire, dunque gli può essere contestato l'articolo 377 bis del codice penale che appunto punisce con la reclusione da due a sei anni chiunque con violenza o minaccia o con offerta o promessa di denaro o di altra utilità induce a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci la persona chiamata davanti all'autorità giudiziaria». E su questo «deve indagare Napoli, oppure Lecce che ha già avviato accertamenti sulla gestione dell'indagine da parte dei colleghi baresi».
I magistrati negano che l'iscrizione di Berlusconi sia già avvenuta. Ma - a meno di una smentita clamorosa di questa impostazione accusatoria da parte dei giudici del Riesame - sembra non ci siano dubbi sul fatto che ciò possa avvenire appena la decisione del Tribunale sarà depositata, vale a dire entro lunedì, quando scadranno i termini per decidere sull'eventuale scarcerazione di Tarantini. Anche perché i pubblici ministeri napoletani sono convinti che il reato di estorsione non sia alternativo a quello di induzione e dunque le inchieste di Roma e Napoli potrebbero procedere in maniera parallela.
Una soluzione pacifica caldeggiata anche dalla giunta dell'Anm di Napoli che ieri ha ritenuto di dover intervenire a tutela dei pubblici ministeri «visto che numerosi commentatori, omettendo ogni valutazione nel merito, hanno prospettato lo scenario di una "superprocura" ostinatamente concentrata a perseguire reati commessi da una certa parte politica in spregio alle regole processuali. E di fronte alla costruzione di un simile teorema che muove da posizioni preconcette e si fonda su affermazioni di fatti non corrispondenti al vero, con l'obiettivo di delegittimare la magistratura napoletana gettando discredito sul suo operato, non si può tacere. Anche perché, dopo la dichiarazione di incompetenza, nessun atto investigativo è stato compiuto e di fronte alla conferma di giudizio da parte del gip, si è provveduto a trasmettere immediatamente gli atti».
Fiorenza Sarzanini
24 settembre 2011
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