sabato 3 settembre 2011

La manovra del malessere italiano


MARIO DEAGLIO

La cura economica anticrisi proposta dagli americani - consistente nell’immettere quantità molto ingenti di nuova liquidità nell’economia degli Stati Uniti e, per conseguenza, in quella mondiale - non ha funzionato, anzi si sta rivelando un vero e proprio disastro: moltissimo debito e niente crescita, minaccia di inflazione e occupazione che non riparte. Le Borse dei Paesi ricchi hanno perso il 10-15 per cento dall’inizio di agosto e nella giornata di ieri hanno subito una nuova, forte caduta. L’orgoglioso «modello tedesco» che doveva trainare la grande ripresa europea si ritrova con crescita prossima allo zero.

Si sta duramente prendendo atto che, per uscire da questa crisi, non serve, o non è sufficiente, stampare moneta, come ha fatto il governatore americano Bernanke; si deve anche prendere atto che non serve neppure ricercare a tutti i costi l’azzeramento dei deficit dei bilanci pubblici, come invece continua a ripetere il governatore Trichet dalla sede della Banca Centrale Europea a Francoforte.

Nessuno però sa bene che cosa fare, meno che mai i governi europei impegnati nella messa a punto di manovre e leggi finanziarie all’insegna della confusione, in un orizzonte dominato da inquietudini politiche di breve periodo, ossia da preoccupazioni elettorali prima che economiche, e dalla palpabile carenza di grandi visioni.

In questo panorama non allegro a quelle generali si sommano le specifiche difficoltà della manovra italiana di bilancio. Una manovra cucita di giorno, all’inizio in un’atmosfera quasi festiva e campestre, nella casa del presidente del Consiglio e scucita di notte, come la tela di Penelope, via via che i calcoli degli esperti mettevano in luce le incongruenze, le difficoltà pratiche, l’impossibilità della realizzazione delle decisioni affrettatamente prese poche ore prima.

Una manovra abbozzata sulla base di valutazioni molto approssimative, talora grossolanamente errate, circa il numero degli italiani toccati dai vari provvedimenti, gli effetti generali derivanti dal possibile taglio di voci fondamentali della spesa pubblica locale e, più in generale, le conseguenze macroeconomiche della riduzione concordata con l’Unione Europea. Una manovra della quale il presidente del Consiglio, lasciando da parte nozioni elementari di economia, ha dichiarato - e i suoi ministri hanno implicitamente concordato con lui - che conta solo il totale, perché imposto dall’Europa, non come a questo totale si arriva.

Ne è derivato un provvedimento cupo, disordinato, che non dà alcuna speranza, fatto in buona parte di tagli e ancora di altri tagli, di cavilli e di altri cavilli ancora. E quando i tagli sono troppo grossolani, e i cavilli troppo evidentemente vessatori, li si elimina dal testo e si attribuisce la somma mancante a una generica «lotta all’evasione», come una volta si diceva «Dio provvederà», senza spiegare come e perché questa lotta all’evasione dovrebbe avere risultati migliori di quelli del passato. L’idea di spostare risorse da un tipo di impiego a un altro per cercare così di far funzionare qualche meccanismo di stimolo, non è stata presa in considerazione. Ugualmente non si sono tenute in alcun conto le ultime notizie congiunturali che indicano un preoccupante rallentamento dei consumi delle famiglie già prima della manovra. Continuare su una linea esclusivamente restrittive non solo equivale a versare sale sulle ferite ma può cancellare le speranze per il futuro e aumenta le probabilità di una nuova recessione.

E’ naturale che, in questa situazione, la Commissione Europea abbia ieri diplomaticamente espresso «dubbi» - che celano un giudizio pesantemente negativo - su questa «miracolosa» lotta all’evasione, dalla quale dovrebbe derivare un gettito che, nelle stime del governo, è prodigiosamente aumentato nel giro di pochi giorni senza che si spieghi da che cosa derivi questo prodigio. La reazione dei mercati è stata assai meno diplomatica: la differenza nella quotazione dei titoli decennali del debito pubblico italiano rispetto a quelli tedeschi (ritenuti i più sicuri d’Europa) ha raggiunto il 3,3 per cento, il che significa che, al fine di cautelarsi contro il «rischio Italia», per prestare denaro a lungo termine allo Stato italiano i mercati esigono un tasso di interesse più che doppio di quello che richiedono per prestar denaro allo Stato tedesco. Si tratta del differenziale più alto da quando la Banca Centrale Europea ha attivato gli acquisti concordati per difendere le quotazioni.

In un’atmosfera mondiale di malessere diffuso e di diffusa sfiducia che ha portato ieri la quotazione dell’oro a un ennesimo record, l’Italia appare in più colpita da uno specifico e grave «malessere italiano», fatto di miopia e disorientamento, preoccupazione e sfiducia, al quale contribuisce anche la scarsità di proposte coordinate e complete provenienti dall’opposizione. Per superarlo occorre prima di tutto prenderne atto e non rifugiarsi, come gran parte del mondo politico, in una rassegnata ignoranza o in un’arrogante indifferenza.

mario.deaglio@unito.it

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Dalle mie parti per descrivere una situazione catastrofica si dice: Stiamo combinati a marocchino"!