sabato 3 settembre 2011

La mossa dei pm: sentire Berlusconi come parte offesa


Prossimamente, forse già la settimana ventura, i pubblici ministeri di Napoli che indagano sulla presunta estorsione a Silvio Berlusconi chiederanno di ascoltare il presidente del Consiglio come «parte offesa». Potrà scegliere data e luogo dell'incontro (il codice prevede che avvenga nella sede del governo), ma non se rispondere o meno alle domande degli inquirenti, come ha fatto quando s'è trovato nelle vesti di indagato o di testimone inquisito in procedimenti connessi.
Per i sostituti procuratori Vincenzo Piscitelli, Francesco Curcio ed Henry John Woodcock è quasi una mossa obbligata, perché da quella testimonianza potranno arrivare riscontri o smentite alla ricostruzione fatta finora. Dopo che il settimanale Panorama, di proprietà della Mondadori e quindi di Berlusconi, ha anticipato la notizia dell'indagine napoletana, il premier ha spiegato allo stesso giornale che non ci fu alcun ricatto ai suoi danni ma solo il suo desiderio di «aiutare una persona e una famiglia con bambini in gravissime difficoltà economiche». Una versione che non può bastare ai pubblici ministeri, i quali probabilmente estenderanno le loro domande ai rapporti tra il presidente del Consiglio e il presunto estorsore Valter Lavitola.

In particolare c'è un episodio che ha destato sospetti e che gli inquirenti intendono chiarire: come mai il 5 luglio scorso il giornalista-imprenditore si sia attivato per recapitare al premier «dei telefoni "sicuri", cioè con schede sudamericane con i quali evidentemente il Lavitola, ignaro di essere proprio lui sotto controllo, ritiene di poter parlare tranquillamente». La consegna avvenne attraverso Alfredo, «stretto collaboratore del presidente Berlusconi», e quando Lavitola ordina al suo assistente Rafael di portare gli apparecchi «si preoccupa di precisare che il materiale va consegnato personalmente ad Alfredo e di dire, nel caso fosse necessario, che la cosa è stata direttamente concordata con il presidente». Con Rafael, Lavitola si raccomanda: «Ovviamente, non far vedere che sono telefoni! Mettili in un pacchetto chiuso... magari toglili dalle scatole... Mettili in una cartellina, in un raccoglitore, in qualche cosa che non si veda che cosa sono!».

Alfredo è l'uomo che la sera del 13 luglio prende un telefono (forse proprio uno di quelli considerati «sicuri»), chiama Lavitola e poi gli passa il capo del governo. È molto probabile che anche Alfredo sia chiamato a testimoniare nell'inchiesta, così come in tempi brevi sarà ascoltata Marinella Brambilla, «da molti anni responsabile della segreteria personale di Silvio Berlusconi e oggi funzionario della presidenza del Consiglio». La donna dovrà rispondere sulla «interlocuzione privilegiata» che aveva con Lavitola, ma soprattutto sulle consegne di denaro camuffato in fotografie nelle conversazioni intercettate, di cui si occupava personalmente. È Marinella, ad esempio, che il 23 giugno risponde a una telefonata di Lavitola e dice: «Ok, allora riusciamo a stampare dieci foto, mandami... chi mi mandi il solito Juanino tuo?». Gli inquirenti non hanno dubbi che quelle dieci foto da stampare fossero in realtà centomila euro.

Tra i testimoni che presumibilmente dovranno sfilare davanti ai pubblici ministeri ci sono anche gli avvocati di Tarantini e dello stesso Berlusconi: Giorgio Perroni, Nicola Quaranta e Nicolò Ghedini. Da alcune telefonate emerge - secondo l'accusa - che i legali fossero a conoscenza dei «cospicui, ingiustificati e illeciti» pagamenti di Berlusconi a Tarantini, e il giudice dell'indagine preliminare ipotizza scenari ancor più inquietanti che devono essere chiariti attraverso nuove indagini. Il magistrato sottolinea «l'accertato e obiettivo "coinvolgimento" dei difensori del Tarantini nonché di quello della persona offesa (cioè Berlusconi, ndr ), avvocato Nicolò Ghedini», e spiega che «il rilievo da attribuire a quel coinvolgimento» dev'essere valutato alla luce «delle ulteriori investigazioni». Infine giustifica il divieto temporaneo d'incontro con i difensori imposto agli arrestati, «non potendo escludersi il pericolo che i patrocinatori, a prescindere da chi sarà nominato, siano veicolo di manovre inquinanti».

Gio. Bia.
02 settembre 2011

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Come parte offesa non può rifiutarsi di rispondere anche perché non c'è un procedimento penale connesso.